
Domenica 26 maggio. VI di Pasqua
(At 15,1-2.22-29; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29)
Giovanni prosegue il racconto dell’ultima cena. Gesù ha appena dichiarato le sue ultime volontà, alcuni discepoli gli pongono delle domande. Giuda, (il figlio di Giacomo, non il traditore, che è già andato via) gli chiede: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?”
È un momento difficile. Tutti sanno che stanno per succedere cose tremende, nessuno è certo di come andrà a finire. Che senso hanno avuto quei tre anni intensi e magnifici, se ora Gesù se ne va, e sembra che nel mondo non sia cambiato nulla? I discepoli hanno intravisto qualcosa, perché Lui si è manifestato proprio a loro, ma gli altri non ne sanno nulla. Finisce tutto qui?
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Perché il figlio si manifesti basta amarlo. Amandolo facciamo ciò che vuole, e, facendo ciò che vuole, lo amiamo. La relazione con Gesù non consiste solo nella fede, nell’obbedienza all’insegnamento e nella sequela, ma anche nell’amore.
“Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato”. Chi lo ama resta fedele alla sua parola, e sarà amato dal Padre. Se l’amore non c’è, la Sua presenza non verrà riconosciuta. Perché, da qui in avanti, fino al suo ritorno, Gesù sarà presso il Padre, quindi, in un certo modo, sarà “assente”, ma, se lo amiamo, sarà presente in noi. Un po’ come quando, tra innamorati, anche quando l’altro non c’è, e ci manca, lo sentiamo comunque presente in noi, in attesa che ritorni in pienezza.
Il Figlio ci promette la sua presenza, ma la connette con la realizzazione dei suoi comandi, che non sono Parola Sua, ma di Dio. La Parola che ci è stata consegnata è capace di farci sentire la Sua presenza. I cristiani la leggeranno, la ascolteranno, la mediteranno e la realizzeranno, singolarmente, e in comunione con i fratelli. Questa Parola sarà un sacramento della presenza del Signore. Noi, ascoltatori della Parola, siamo dimora di Dio.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”. Non è la pace del mondo. Non c’entra nulla con la tranquillità, né tantomeno con il benessere, o con l’isolamento nel nostro orticello. È capace di scardinare le nostre sicurezze e di mettere in discussione quella vocina interiore che ci suggerisce insistentemente di fare il nostro interesse, di ammassare ricchezze, di costruire muri, veri o virtuali, per evitare di essere coinvolti nei problemi e nelle difficoltà altrui. “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”.
C’è proprio bisogno di questa rassicurazione. Ci ha appena proposto una guerra all’ultimo sangue all’egoismo, all’ingiustizia, alla superficialità, secondo quello che lo Spirito suggerirà alla nostra coscienza interrogata da ogni evento quotidiano. Ma solo così il tempo dell’attesa, diventerà tempo di serenità, e di gioia contagiosa.
Pierantonio e Davide Furfori