Dal Natale un forte invito  alla pace e al rispetto della vita

Nonostante le tante sofferenze sparse per il mondo, da Betlemme giunge un messaggio di speranza

Ucraina: albero di Natale sulla tomba di un soldato ucraino in uno dei cimiteri di Leopoli. (Foto AFP/SIR)

Dopo trent’anni – il ricordo va al conflitto esploso all’inizio degli anni Novanta tra le nazioni della ex-Jugoslavia – l’Europa si ritrova a vivere un Natale di Guerra che rimanda a quelli che segnarono i due conflitti mondiali nella prima metà del Novecento. Fin troppo facile dubitare del fatto che la storia possa davvero essere maestra di vita: l’impressione è, piuttosto, che possa esserci sempre qualche “cattivo” che, svogliato nello studio oppure ottuso oltre ogni dire, non sappia trarre insegnamento dal passato e, nel nome di qualche ideologia inumana, passi sopra ad ogni altra considerazione scegliendo di sostenere le proprie ragioni con la forza delle armi piuttosto che con la pazienza del dialogo. Ecco, allora, che siamo di fronte ad un Natale schizofrenico, diviso in modo netto tra chi ha voglia di far festa dopo due anni di ristrettezze (ma anche questa è una spiegazione che non potrà reggere all’infinito) e chi è nell’impossibilità di festeggiare per le oggettive condizioni di disagio in cui vene a trovarsi in questi giorni.

Un presepe vivente nel cuore di Roma (Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Il giro delle situazioni più tragiche non può cominciare che dall’Ucraina, dove da più di 300 giorni si combatte una guerra che merita ogni definizione di condanna. Sta di fatto che nelle ultime settimane, lo abbiamo già scritto, è andata via via delineandosi in modo netto la strategia di Putin: ridurre allo stremo la popolazione, sperando che la stessa si ribelli alle scelte, fin qui condivise, operate da Zelensky. Le condizioni di vita degli ucraini stanno peggiorando di giorno in giorno. I bombardamenti russi sono all’ordine del giorno un po’ su tutto il territorio nazionale; solo nella giornata di lunedì scorso sarebbero stati una sessantina. In parte con droni, ma anche con l’uso di cannoni.
Così sta succedendo da giorni a Kiev, Mykolaiv, Odessa, Zaporizhzhia, Kryvyi Rih (la città natale del presidente), Kharkiv. I risultati di questa che è la settima offensiva massiccia dell’esercito russo, sono preoccupanti: oltre al crescente numero di vittime e di feriti, molte città (tra queste la capitale) sono senz’acqua; la fornitura di elettricità è discontinua; la popolazione è invitata a non uscire dai rifugi. Così, sia per quanto riguarda le condizioni fisiche sia per lo stato d’animo, il popolo ucraino si appresta a vivere il Natale. Un sacerdote della Chiesa greco-cattolica di Melitopol – la città conosciuta come la “porta della Crimea”, e quindi un territorio strategico che le forze ucraine stanno cercando di riprendersi – racconta al Sir di essere stato preso con la forza, interrogato per tre ore e minacciato. Poi, dopo la lettura di una “sentenza” di accusa-farsa, è stato buttato fuori dalla città. “Non ho subito violenze fisiche, dice, non ho perso nemmeno un capello dalla mia testa. Ma è un miracolo grande di cui non so spiegarmi i motivi”.
Esprime il suo sgomento il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, e si chiede come sia possibile “che nel 2022 si combatta ancora una guerra? Con mezzi atroci, contro donne e bambini, con la tortura e il terrore. La Chiesa che è in Italia è vicina all’Ucraina: a livello materiale, cercando di dare risposte concrete ai bisogni che via via emergono. Non dobbiamo stancarci però di essere profetici, condannando la violenza, invocando la pace e chiamando le cose con il loro nome”.
Un grave esempio di violenza dello Stato nei confronti dei suoi cittadini è rappresentato dall’Iran, dove le proteste in difesa dei diritti civili – in particolare delle donne, a seguito della morte di Mahsa Amini – non accennano a diminuire, anzi, sembrano trovare ogni giorno nuove forze e motivazioni. sono entrati in campo molti giovani, che attraverso i social riescono a superare le barriere di censura imposte dal regime degli ayatollah. Diffondono immagini che ritraggono altri giovani che lottano per strada, esecuzioni capitali di ragazzi (dopo le due già eseguite, ne sarebbero state emesse già altre 11), madri che piangono.
Azar Karimi una ragazza che fa parte dell’Associazione dei giovani iraniani in Italia, afferma che “il popolo iraniano sa benissimo a cosa sta andando incontro quando esce per strada a manifestare ma è deciso ad andare avanti con le proteste fino al rovesciamento del regime”. Ammonisce, inoltre, che “l’Iran può sembrare un Paese lontano ma non lo è. I giovani, gli uomini e le donne che sono in Iran e che stanno combattendo, chiedono il nostro sostegno e l’intervento della comunità internazionale. È un popolo che si sta difendendo a mani nude contro un regime disumano che non ha pietà per nessuno”.
Un messaggio di speranza viene da padre Rami Asakrieh, francescano della Custodia di Terra Santa, parroco di Betlemme. Nonostante un clima di crescente tensione tra israeliani e palestinesi, le comunità cristiane della Terra Santa si accingono a celebrare la nascita del Signore, ricordando che “il Natale è Luce per tutte le genti. Dio ci chiama alla pace. Questa pace a Betlemme prende corpo. Tutti abbiamo il diritto di vivere in dignità e nel rispetto”.

Antonio Ricci