Dodici Paesi membri chiedono che la Ue finanzi la costruzione di barriere contro i migranti, ma muri e reticolati costellano già alcuni confini dell’Unione. Occorre rivedere i trattati di Dublino e ripensare la politica verso Medio Oriente e Paesi africani
Si pensava che il tempo dei muri, dopo la caduta di quello di Berlino e lo sgretolamento della cortina di ferro, fosse finito, invece… I ministri dell’interno di dodici Stati europei la scorsa settimana hanno chiesto un rafforzamento dei confini esterni dell’Unione Europea per proteggere le frontiere di fronte ai flussi migratori anche col finanziamento europeo di recinzioni e muri. I Paesi protagonisti dell’iniziativa sono: Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia. Nella lettera si legge: “per garantire l’integrità e il normale funzionamento dell’area Schengen tutte le nostre frontiere esterne devono essere protette con il massimo livello di sicurezza. Le barriere fisiche sembrano essere un’efficace misura di protezione delle frontiere che serve l’interesse di tutta l’Ue, non solo degli Stati membri di primo arrivo. Questa misura legittima dovrebbe essere ulteriormente e adeguatamente finanziata dal bilancio dell’Ue in via prioritaria”. Inoltre “queste soluzioni europee dovrebbero mirare a salvaguardare il sistema comune di asilo riducendo i fattori di attrazione”.
“Proteggere i nostri confini, specie quando sono minacciati da regimi autoritari – ha commentato il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli in un’intervista a Repubblica – è un dovere nei confronti dei nostri cittadini, ma alzare muri contro persone disperate sarebbe rinnegare i nostri valori e perdere la nostra umanità”. Purtroppo i muri, per quei Paesi, non sono una novità. Lo è invece pretendere che la loro costruzione venga finanziata dall’Unione Europea. L’Europa è già una specie di fortezza difesa con tanto di reticolati e di muri. Nel 2015, attorno ai Paesi balcanici, furono stesi i primi mille chilometri di filo spinato per frenare l’immigrazione dalla guerra siriana.
Poi si è cominciato ad alzare muri veri e propri con torrette presidiate da militari e videocamere ad infrarossi sensibili al calore e quindi all’individuazione di persone. L’ultimo è stato eretto da Atene, lungo 40 km, ai confini con la Turchia. Ma altri ne esistono già tra Slovenia e Austria, Romania e Turchia, Romania e Serbia e Ungheria. L’ultima in ordine di tempo è la decisione di Lituania e di Polonia per un muro che, in continuità con quello già esistente in Estonia e Lettonia, difenda dalle provocazioni della Bielorussia che usa i migranti come arma di disturbo e pressione nei confronti dell’Unione Europea.
È comprensibile la preoccupazione di quei Paesi vista anche la loro fragilità economica e non solo. Come non è un caso che a chiedere aiuti all’Europa per alzare muri siano i Paesi di recente formazione ed ex satelliti dell’URSS. Dire che sono democrazie fragili è dire poco e spesso si affidano a leader forti rischiando nuove forme di dittatura. Non è un caso che la Polonia rivendichi la sua autonomia sovrana nei confronti dell’Europa attraverso una sentenza del Tribunale costituzionale polacco, non indipendente ma di fatto succube del governo.
È la prima volta che uno Stato membro asserisce la prevalenza del proprio ordinamento su quello europeo, che deriva dai Trattati Ue liberamente sottoscritti dagli stessi Stati aderenti. In tal senso le autorità polacche rischiano di porsi al di fuori del perimetro dell’Unione europea. La costruzione dei muri e il sovranismo si intrecciano. Orban, dall’Ungheria, ha dato la sua solidarietà alla Polonia e c’è da pensare che presto altre voci si alzeranno a chiedere autonomie difficilmente compatibili con l’unità dell’Unione. I motivi di queste prese di posizione probabilmente non sono tesi ad uscire dall’Europa, di cui sono partner privilegiati sotto il profilo economico; forse tendono ad aumentare il loro peso. I muri sono sicuramente antipatici e disumani, vanno contro i principi di solidarietà e di accoglienza, ma pongono anche un grande problema alla gestione dei migranti all’interno del continente.
L’Europa non può restare sorda agli inviti che provengono anche dall’Italia. Non si può rimandare sine die decisioni che non riguardano solo i Paesi di confine. È ora di rivedere i trattati di Dublino e smetterla di lasciare alla buona volontà dei Paesi europei l’accoglienza o meno dei migranti. Va rivista tutta la politica col Medio Oriente e con i Paesi africani. E va alleggerita la pressione sui Paesi di confine. L’Ue non nega la possibilità di alzare muri; per ora nega soltanto la sua partecipazione diretta in quanto azione lontana dai suoi principi umanitari. Purtroppo, però, non è molto umanitaria l’attuale gestione del problema. Per il momento le manifestazioni di violenza dei giorni scorsi hanno messo il silenziatore alle polemiche nostrane, ma si può legittimamente pensare che in un prossimo futuro avranno l’onore delle croache. Non per nulla Salvini ha avuto modo di dire: “Se ben 12 Paesi Europei con governi di ogni colore chiedono di bloccare l’immigrazione clandestina, con ogni mezzo necessario, così sia. L’Italia che dice?”.
G. B.