
Spiace essere stati profeti di un ritorno a condizioni atmosferiche di cui non si sentiva nostalgia e con l’aggravante, rispetto alla sua prima decade, di modalità più autunnali nel prosieguo di questo inqualificabile gennaio. Dove sono le rigide, asciutte e durature correnti di tramontana che dovrebbero assicurare, con una certa frequenza, un clima più salubre invece dell’attuale, persistente umidità?
Il mese centrale dell’inverno appare irriconoscibile e sbilanciato tra un eccesso di neve caduta in montagna per una settimana quasi filata, una breve pausa soleggiata e, adesso, la prospettiva di vari giorni di acqua con la neve relegata solo sui più alti crinali appenninici. Davvero un mese sui generis, e difficilmente potrà ribaltare il giudizio negativo che fin d’ora pare meritarsi, persino se dovesse riservare una poco probabile resipiscenza finale. Intanto, ripercorrendo la settimana dal 12 al 18, si scorge l’alternarsi della M di misto e della S di sereno nella classifica dello stato del cielo: è stato, almeno questo, un sollievo alla lunga teoria di giorni dal cielo coperto che, per sei settimane, hanno spopolato con rare eccezioni.
Le attese, come già accennato, erano rivolte pure ai venti settentrionali e alla loro azione benefica: non si pretendeva che Trieste venisse squassata dalla bora o che Toscana e Liguria fossero travolte da orride folate di tramontana, ma un ricambio d’aria e di aria più asciutta sarebbe stato auspicabile e utile per l’ambiente. Invece, negli stessi giorni, le raffiche da nord non facevano in tempo a destarsi che, dopo un giorno al massimo, tendevano già a spegnersi.
Tra passaggi nuvolosi innocui, atmosfera ora in movimento e ora quieta, c’è stato spazio per qualche gelata e brinata, nulla di più, certo non in grado di giustificare alcuni titoli ad effetto comparsi sia sui giornali che in televisione. Solo perché localmente accade un evento un po’ fuori dal comune non significa trovarsi al cospetto di una stagione complessivamente destinata a passare agli annali. Sicuramente, verrà ricordata in una fetta della Penisola Iberica per la storica nevicata seguita da forti gelate così come in diverse aree alpine e appenniniche per lo straordinario accumulo di neve in poco tempo. Sempre nei giorni scorsi, un servizio andato in onda durante un telegiornale ha raggiunto livelli quasi comici per non dire ridicoli descrivendo l’inverno moscovita e siberiano.
Prima di chiudere, va ricordato che, a partire dal corrente anno 2021, a conclusione del trentennio 1991-2020, i raffronti con il clima passato si riferiranno a tale periodo. Nelle analisi climatologiche, ovviamente, più è lungo il corpus di dati disponibili, meglio si può caratterizzare il clima di una data località nel suo divenire nei decenni e talora nei secoli, ma al fine di verificare l’andamento di temperatura, precipitazioni e altri elementi del clima in un campione di città, ad esempio, il ricorso ad uno stesso periodo di riferimento è prassi corretta e irrinunciabile.
Per qualche anno, quindi, se il global warming non accelererà troppo, si avrà modo di rilevare scostamenti termici dalla norma più modesti, e ciò a motivo del passaggio da un trentennio meno recente (1981-2010, usato finora) ad un analogo periodo di pari estensione temporale appena conclusosi, il tutto in una situazione che, per ora, conferma il costante incremento della temperatura dell’aria a livello planetario. Benché l’aumento termico proceda ormai dall’ultimo scorcio del trentennio 1961-90 attraverso il 1971-2000 e il 1981-2010, la vista delle nuove ‘normali’ di temperatura, già disponibili per una serie di città, località e siti non urbani, non manca di destare un certo stupore, specie se quelle cifre vengono poste accanto a quelle più datate, indice di un clima più fresco/freddo/meno caldo che dominava nei decenni e nei secoli passati.
a cura di Maurizio Ratti, Mauro Olivieri e Giovan Battista Mazzoni