Poco più di 50mila iscritti si sono espressi in merito
Alla fine Matteo Salvini, grazie alla benevolenza dei Cinquestelle, si salvò. Lunedì è stato “il giorno del giudizio”, dopo mesi di discussioni infinite sulla opportunità o meno che il ministro dell’Interno dovesse essere rinviato a giudizio per il caso della “Diciotti” che nell’estate del 2018 aveva salvato in mare 177 migranti. Salvini aveva introdotto la teoria dei porti italiani chiusi: in attesa che l’Europa si facesse carico della loro ridistribuzione nei vari Paesi, i naufraghi furono bloccati sulla nave dal 17 al 25 agosto.
Per i giudici di Catania le procedure adottate andavano oltre le competenze del ministro dell’Interno e hanno contestato a Salvini il reato di sequestro di persona (articolo 605 del codice penale) “per avere, nella sua qualità di ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 177 migranti di varie nazionalità giunti al porto di Catania… alle ore 23:49 del 20 agosto 2018… violando le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare… Fatto aggravato… per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori”.
Da qui la richiesta al Tribunale dei ministri del parere per il rinvio a giudizio. Mentre in un primo momento Salvini aveva dichiarato di voler affrontare il processo, linea pienamente condivisa dal Movimento 5 Stelle, in seguito ha cambiato idea, sostenuto in questo da tutto l’apparato di centrodestra, puntando a evitare un processo che presentava diverse incognite.
A questo punto, con il cerino in mano sono restati i penta stellati, chiamati a decidere se negare l’immunità al ministro, restando così nel solco della tradizione del Movimento, o concederla, respingendo l’autorizzazione a procedere e rischiando di perdere la faccia davanti agli elettori. La materia è piuttosto complicata anche per gli addetti ai lavori ed è squisitamente giuridica. Resta il fatto indubitabile che la “Diciotti” è una nave della guardia costiera italiana e quindi già “suolo italiano”.
Come si sa i Cinquestelle hanno trovato un escamotage per uscire dall’impasse: affidare agli iscritti alla piattaforma Rousseau la decisione in merito, abdicando così al preciso mandato dei parlamentari eletti, ai quali spetta decidere secondo coscienza. Quella che viene chiamata “democrazia diretta” si riduce ad una decisione alla Ponzio Pilato, con la quale ci si affida a poche decine di migliaia di attivisti, con un sistema di votazione che già in passato ha ricevuto numerose critiche quanto ad affidabilità e credibilità.
Alla fine, anche se con qualche ritardo e con molti mugugni da parte di chi faticava ad accedere al sito, hanno votato 52.417 attivisti. Ha prevalso la ragion di Stato e il 59,05% ha rifiutato l’autorizzazione a procedere, contro il 40,95 schierato per il sì.
È interessante tuttavia analizzare il quesito su cui i grillini hanno votato: “Il ritardo dello sbarco della nave Diciotti, per redistribuire i migranti nei vari paesi europei, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato?”. Una formulazione che spingeva a negare l’autorizzazione a procedere. Ma ci sono anche altre considerazioni da fare.
Il “sequestro di persona”, reato grave se dimostrato, è stato declassato a “ritardo dello sbarco”. Non solo: non si trattava di decidere se le scelte di Salvini sono “avvenute per la tutela di un interesse dello Stato”, ma se il presunto reato era giustificato dalla necessità di salvaguardare un “interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o un preminente interesse pubblico”.
Anche in questo caso si sono dimenticati aggettivi sostanziali. Secondo i giudici non sussistevano motivi per ritardare lo sbarco dei profughi. La macchina dell’accoglienza era pronta e le scelte sono state squisitamente politiche, anche perché “nessuno dei soggetti ascoltati dal tribunale ha riferito sulla possibile presenza di persone pericolose per la sicurezza nazionale”.
C’era da difendere i confini dell’Italia? Intanto Salvini si era fatto un mucchio di propaganda assumendosi tutta la responsabilità degli avvenimenti e guadagnando parecchi voti. Ad un certo punto, però, i Cinque Stelle si sono accorti che mandare a mare Salvini voleva dire mandare a mare il governo e le poltrone. Solo allora si sono ricordati che le responsabilità e le decisioni di quei giorni erano di tutto il governo e che tutto era sta fatto in perfetta armonia tra Salvini, Conte, Di Maio e Toninelli.
Sono arrivati troppo tardi. A loro restava soltanto la finzione di un movimento che si affidava alla democrazia (piattaforma Rousseau!) per salvare la faccia di fronte ad un dietrofront totale rispetto allo spirito per il quale il Movimento stesso era nato. Salvini è salvo e ringrazia, il governo è salvo, ma il Movimento 5 Stelle potrebbe avere qualche problema da affrontare.
Giovanni Barbieri