
Domenica 15 dicembre. III di Avvento
(Is 35,1-6.8.10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11)
Hanno arrestato l’attesa, hanno costretto il deserto in una gabbia, hanno rubato il cielo alle sue notti, hanno soffocato un grido di speranza: hanno arrestato Giovanni Battista. Leone inquieto, leone in gabbia; confuso, umile, smarrito, Giovanni non è più lui.
Troppo lontano da dove si sta muovendo la vita, fuori posto, lui che muoveva le folle, lui che riempiva il silenzio di grida decise, lui raggiungeva e scuoteva umili e potenti, lui, ora, si deve accontentare di un rumore lontano, “dicono di lui che”.
Vorrebbe essere lui ad ascoltare le sue parole, a valutare lo sguardo di questo messia, a capire, a decidere, a spiegare, ad accompagnare la sua gente a decidere se fidarsi oppure no. Invece è tempo di fragilità e debolezza. La vita si è fatta stretta, soffocante, la libertà è rinchiusa nei pochi metri quadrati di una cella. E lui, inevitabilmente, cambia.
Il Battista non è più lui. Manda i suoi discepoli, come colombe dall’arca di un solitario esistenziale diluvio, a cercare notizie di terra promessa. Il Battista che si affida, costretto a fidarsi di altri occhi, è un Battista forzatamente diverso, più umile, più umano, non ha più punti esclamativi da incidere nel tempo ora curva umilmente fragili punti interrogativi: sei tu? Che, se ci pensiamo, è una domanda di una tenerezza inarrivabile, chiedere conferma a colui che muove il mio dubbio.
Il grande ostacolo che il Battista si trova davanti è il dover fare i conti con il profilo di un messia che non risponde alle sue attese. Ecco, io credo che la vita spesso sia pesante perché non risponde pienamente alle nostre attese. Ci si aspettava di più, ci si aspettava qualcosa di diverso, ci si aspettava altro dal matrimonio, altro dai figli, altro dalla società.
E così, spesso, per evitare ulteriori delusioni, smettiamo di attendere, e finiamo la vita sommersi da mille risentimenti. Nella pagina di oggi il Battista ci ricorda che senza attesa l’uomo non è uomo, non solo il Battista ci ricorda che occorre attendere come ha fatto lui: da un carcere. È ormai tempo di un’attesa disarmata.
Spesso le nostre attese rispetto alla vita sono solo pretese, vogliamo che la vita si adegui alle nostre esigenze. Rischio del Battista nel deserto era di aggredire il tempo perché trovassero ragione le sue parole. Dal carcere non più. E’ uomo fragile, disarmato. E bellissimo.
La sua mitezza lo porta ad affidarsi ai suoi discepoli che, nel testo, diventano evangelizzatori. Fragile impara a riconoscere e gioire per una speranza più grande di lui (i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano…). Siamo chiamati a una attesa disarmata, per imparare occhi capaci di riconoscere la Speranza, per stupirci che il nostro cuore possa diventare così libero da gioire per la felicità altrui.
don Alessandro Deho’