
Lo sappiamo da sempre che nel bilancio preventivo della nostra vita dobbiamo mettere anche la voce imprevedibilità di quel che ci può capitare di ineluttabile, in bene o in male: in latino il sostantivo fortuna deve sempre essere accompagnato da l’aggettivo che la qualifichi fausta o infausta.
Filosofia a parte, la cronaca quotidiana ce lo ricorda: stando solo ad alcuni casi dell’immediato passato ci sono stati giovani calciatori brasiliani bruciati mentre dormivano, tante persone bruciate a Parigi perché una pazza ha dato fuoco alla loro dimora, Manuel in una periferia di Roma in un attimo ha visto stravolta per sempre la sua vita futura.
Un corto circuito nell’impianto elettrico pare la causa della tragedia brasiliana, potrebbe anche qui esserci stata una colpevole incuria, come a Parigi una inadeguata premura verso la malattia mentale, ma quel che più colpisce e indigna è il dramma di Manuel Bortuzzo: ha scampato la morte ma non camminerà più, non potrà più realizzare le sue speranze sportive.
E questo lo hanno voluto due “programmatori di morte” che hanno dichiarato di aver scambiato persona; un”errore”, ma in loro c’è stata la deliberata volontà di uccidere, si sono costituiti alla polizia non devastati dal rimorso, non per pentimento ma perché ormai erano intrappolati. Nel loro perverso codice di vita dimostrano di avere solo un corpo tatuato e una totale assenza di pensiero e di comunicazione, non l’impegno costante e faticoso di Manuel nella scuola e nella preparazione di una carriera sportiva.
Sono di quelli che di fronte a chi si contrappone con parole e comportamenti, non ascoltano repliche, non dialogano, sanno soltanto offendere, menare le mani e soprattutto andare a prendere la pistola, oggi più facilmente acquistabile con la nuova legge di sicurezza, che in realtà aumenta l’insicurezza, perché tutti come Manuel possiamo essere sulla traiettoria della violenza dei criminali e dei cosiddetti bulli. Le responsabilità della frana morale, che si è fatta più grave e più veloce in poco tempo, sono tante e gravi, complesso è cercare risposte, un rimedio “socratico” può essere sempre e soltanto fare domande.
Quelle che si è dovuto fare Manuel: non si è fatto travolgere dalla disperazione e subito ha dimostrato di essere un ragazzo che nell’abisso della tragedia cerca la forza e la dignità di un uomo vero, sta trovando se stesso per impiantare un capovolto progetto di vita, come un Ulisse moderno sempre sospinto al largo dal doloroso amore della vita.
La sua risposta alla malvagità dei cretini, arroganti, già abituati al crimine come mestiere di vivere, è confortante testimonianza per se stesso, per i suoi cari, per la sua ragazza e per tutti quelli, noi compresi, che vedono in lui una speranza e un esempio di cui essergli grati.
Maria Luisa Simoncelli