Pasqua: questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo

Domenica 1 aprile, Risurrezione del Signore
(At 10,34a.37-43; Col 3,1-4; Gv 20,1-9)

13VangeloIl termine Pasqua deriva da pesach, passaggio. Il popolo ebreo la celebrava ogni anno in ricordo del passaggio del Mar Rosso. L’evento salvifico vissuto da Gesù si inserisce in quella celebrazione. Egli è l’agnello che viene sacrificato il giorno prima della festa.
È l’agnello a cui non viene spezzato alcun osso. È l’agnello il cui sangue viene sparso e segna gli stipiti delle vite che cercano in lui la salvezza. È colui che attraversa ciò che sembrava inattraversabile. Quel mare che tanto aveva intimorito tutto il popolo, quella pietra che sembra aver chiuso per sempre le spoglie mortali: sono entrambi superati.
Come Dio Padre aveva liberato tutto il popolo dalla schiavitù egiziana, cosi Gesù libera dalla schiavitù della morte.
La visita al sepolcro era, al tempo di Gesù, volta anche a controllare che la morte non fosse soltanto apparente. Nel caso del Maestro era difficile pensare che quel corpo così martoriato – molti non sopravvivevano alla sola flagellazione – potesse avere ancora vita. Ma allora perché quelle donne indicate nei vangeli vanno così sollecite?
Sì, perché per il giorno prima – il sabato della celebrazione della Pasqua – la legge vietava l’attività di muoversi e di far visita alle tombe. Quindi si recano appena possono: il primo giorno della settimana, quando era ancora scuro. Le spinge l’affetto, l’amore che avevano per Gesù perché per Lui e per il suo corpo, che era già stato unto per la sepoltura, non potevano far niente. L’evento di cui sono testimoni era per loro del tutto inatteso. Le preoccupava il masso che divideva il mondo dei morti da quello dei vivi. Il vedere un giovane, che mostra di essere a conoscenza di ciò che era avvenuto e di conoscere loro stesse, non evita loro di avere timore.
Per questo Marco, nel suo Vangelo, ci dice che esse fuggono senza dire niente a nessuno. Solo Maria di Magdala, nel Vangelo di Giovanni che si legge nella S. Messa del giorno, si reca da Pietro per annunciargli ciò che ha veduto. Pietro informa il discepolo che Gesù amava ed insieme vanno al sepolcro. Il discepolo amato e senza nome – che viene individuato con l’evangelista Giovanni, ma è bello pensare di poter mettere il proprio nome – giunge per primo, vede dall’esterno, ma non entra.
Giunge anche Pietro, penetra nella tomba e vede il sudario come sgonfiato. Nella sepoltura il corpo veniva steso su di un telo di circa quattro metri per uno. Il telo veniva poi ripiegato in modo di avvolgere verticalmente la salma. Tre fasce stringevano all’altezza del collo, della vita e dei piedi.
Chiunque avesse voluto trafugare il corpo l’avrebbe portato via con il telo. Nessuno si sarebbe preso la briga di sciogliere i nodi delle tre fasce, togliere il corpo, ripiegare il lenzuolo e riannodare le tre fasce. Il discepolo amato, dopo aver guardato con attenzione, capisce. Riannoda le fasce con l’esperienza della trasfigurazione, con i frequenti annunci della passione, morte e risurrezione che aveva fatto Gesù e crede.
Della resurrezione, da questa nostra esperienza terrena, potremo vedere solo alcuni segni. Per andare oltre c’è bisogno di un atto di fede, come del resto ha fatto il discepolo amato da Gesù che da quel momento, spinto da quella esperienza, ha impegnato tutta la propria vita ad annunciare il messaggio di Gesù, la sua vita, la sua passione, la sua morte e soprattutto la sua risurrezione. Nel giorno di Pasqua.
È bello, non solo comprendere, ma vivere da risorti. Il battesimo che abbiamo ricevuto ce ne dona la possibilità.

Pier Angelo Sordi