
Domenica 10 luglio – XV del tempo ordinario
(Dt 30,10-14 – Col 1,15-20 – Lc 10,25-37)
Da duemila anni c’è un uomo che scende da Gerusalemme a Gerico, da duemila anni si ripete la storia di vite umane aggredite e lasciate ai bordi della strada, mezze morte. O mezze vive, dipende dallo sguardo. Abbandonati in terre di mezzo ci sono da sempre corpi umani imploranti, ogni corpo umano, in fondo, sempre implora dal bordo di una strada. Le parole e i silenzi di ogni uomo sono scomode preghiere impastate di terra o bestemmie crude rivolte a chi vive di violenza o molesti casi morali gettati negli occhi anestetizzati dei devoti. Dipende dallo sguardo. Da duemila anni ci sono corpi sospesi tra vita e morte che nessuno vorrebbe vedere, sono segno di quell’umanità che si incastra a inceppare il fluire comodo della vita, sono quegli ostacoli che rischiano di catturare tutta l’attenzione perché, puoi anche darti tutti gli alibi del mondo, ma un uomo mezzo morto ai bordi della strada ti resta inchiodato dentro, anche solo per il fatto che ti costringe a trovare delle scusanti per proseguire il cammino.
Quell’uomo mezzo morto è scomodo, è giusto dirlo. È l’errore di programmazione, è la nota stonata, è l’inciampo che fa venir voglia di cambiare rotta e di continuare a sognare un mondo dove tutti possano camminare senza rischi. Il dottore della legge chiede a Gesù notizie sulla vita eterna ma lui, il Maestro, sceglie di rispondere con il realismo ingombrante della vita terrena: vita spesso ruvida e scomoda, vita che ti chiede di schierarti, vita intralciata dal male. Un uomo scende da Gerusalemme a Gerico e viene percosso a sangue e lasciato a morire per strada. Altri tre uomini scendevano per la medesima strada e tutti e tre, almeno per un istante, maledicono il fato alla vista di quella carne pestata a sangue e tenuta in vita da un filo cocciuto di respiro. I primi due, un sacerdote e un levita, vedono e “passano oltre”, il Vangelo non esplicita le motivazioni, probabilmente sono pretesti religiosi legati al culto, quello che però sappiamo con certezza è che “passano oltre”.
Passare oltre significa decidere di non fermarsi. La qualità della vita si decide qui, dice Gesù, dalla scelta di fermare il cammino mandando all’aria le tabelle di marcia. E se ci pensiamo bene questo ha davvero del paradossale, la vita diventa eterna se accetto di perdere tempo, di arrivare in ritardo, di infrangere le regole. La “vita eterna” non è qualcosa che sarà, insiste il Vangelo, ma qualcosa che è già qui, ogni volta che accettiamo di lasciare che l’uomo ferito fermi il nostro cammino, ogni volta che ci lasciamo ferire dalle ferite del mondo.
don Alessandro Deho’