Pane e Cielo. Dove stiamo andando?

Domenica 1 agosto – XVIII del tempo ordinario
(Es 16,2-4.12-15 – Ef 4,17.20-24 – Gv 6,24-35)

Pane e Cielo. Incrocio miracoloso, vitale, essenziale. Pericoloso. Pane e Cielo, un tratto, leggerezza, a dire che gli opposti si devono cercare, penetrare, svelare. A dire che non esiste opposizione nel cuore di Dio. In questo nodo, al cuore della descrizione che Tu stesso hai tratteggiato di te, Signore, anche noi ci incagliamo. Mormoriamo. Come i Giudei del tuo tempo. Troppa distanza anche per noi tra pane e Cielo. Un sogno troppo grande da sognare, una distanza troppo profonda da riempire, uno sguardo troppo poetico da imparare. Mormoriamo perché è difficile tenere insieme le cose della terra e il respiro dell’Infinito. Non ci fa problema Signore che tu ci dica che non di solo pane vive l’uomo. Nemmeno di alzare gli occhi al Cielo e pregare il Padre Nostro che è nei cieli: Signore, noi crediamo sia al pane che al Cielo solo, non ci riesce ancora di pensarli insieme. Viviamo come in continua tensione tra questi due elementi, tra la sopravvivenza e il sogno, tra la realtà e l’utopia: non riusciamo proprio a viverli unificati. E allora mormoriamo. Banalmente. Che un uomo non può essere insieme pane e Cielo, come invece dici di essere tu. Che il sudore e l’estasi, il miracolo e la polvere, l’incenso e la puzza di ferite infette non possono proprio stare insieme. E tu invece sembri venuto per dirci esattamente questo. Pane e Cielo. Terra e Infinito. Vita, con tutte le sue sfumature e fede. Incarnazione.
Anche il vangelo di oggi Signore sembra nient’altro che la melodia di un bruciante desiderio, un desiderio infinito, quello di mostrarti come punto d’incontro di tutte le nostre ricerche di terra e di Cielo. Come l’incarnazione di quello che per noi è uno scomodo controsenso. Scomodo, perché unire terra e Cielo chiederebbe solennità anche nel momento in cui noi compriamo il giornale, rispondiamo al telefono, cuciniamo…
Non resta che mormorare, e tenere distanti terra e Cielo. Metterci al sicuro, noi che rischiamo di perderci in un eccesso di pane che schiaccia, noi che abbiamo creduto alle immensità del Cielo tanto da perderci sogni e speranze. E perderci, forse, anche un poco di noi stessi. Noi che lottiamo, giorno dopo giorno per non affossarci o scappare, noi però che, in fondo, abbiamo bisogno di credere ancora che il Cielo e il pane possano fecondarsi. Noi, che abbiamo bisogno di un pane capace di parlarci di infinito e di un infinito che non sia troppo lontano ma che scenda a colorare le cose della terra.

don Alessandro Deho’