Era stato uno dei grandi sogni di Giovanni Paolo II: aprire il Grande Giubileo del 2000 in Iraq, nella terra di origine del patriarca Abramo. Dopo mesi di trattative, per motivi di sicurezza, Saddam Hussein si oppose al viaggio. Il calvario di quel Paese è noto.
Ha subito, in successione, la seconda guerra del Golfo, l’invasione degli Stati Uniti, il tribolato post-Saddam, la conquista di gran parte del Paese da parte dello Stato islamico… infine la pandemia. Ora, malgrado tutte le difficoltà ad essa legate, Papa Francesco ha rotto gli indugi ed ha accolto l’invito della Repubblica d’Iraq e della Chiesa cattolica locale. Il viaggio – che si terrà dall’5 all’8 marzo – è denso di significati. Il motto e il logo che accompagnano l’avvenimento li mettono bene in evidenza.
“Siete tutti Fratelli” è il messaggio, con il Papa ritratto nel gesto di salutare il Paese, rappresentato dalla mappa e dai suoi simboli: la palma e i fiumi Tigri ed Eufrate. Il logo mostra anche una colomba bianca – nel becco un ramoscello di ulivo, simbolo di pace – che vola sulle bandiere della Santa Sede e della Repubblica dell’ Iraq.
Si può tranquillamente dire che la scelta del Papa sia un atto di coraggio: il Paese non è del tutto pacificato e in questo momento, a causa della pandemia, gli altri sono visti come “nemici”. Ma se si pensa alle tragedie vissute in questi ultimi decenni da quelle popolazioni bisogna anche dire che è un atto dovuto. Nel suo viaggio il Papa incontrerà le minoranze cristiane ma anche tutti gli iracheni.
Nella storica città di Ur, la patria di Abramo, cui fanno capo le tre grandi religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islamismo), incontrerà i rappresentanti delle diverse religioni del Paese – cristiani, musulmani, sabei e yazidi – con la partecipazione anche di un rappresentante della religione ebraica. È la terra in cui i conflitti sono stati più crudi e dolorosi.
Tutti, in un modo o nell’altro, sono stati vittime di violenze inumane. Ma il Papa non può non rendere omaggio ai cristiani e ai cattolici, a quelli che hanno testimoniato la loro fede fino al martirio, e ai vescovi, ai pastori che sono rimasti con i fedeli, non sono andati via durante tutta questa guerra, subendo violenze, soprusi, bombardamenti, persecuzioni. Sono rimasti alla guida e al servizio dei loro fedeli.
Baghdad, Najaf, Nassirya, la Piana di Ur, Piana di Ninive, Erbil, Mosul sono le tappe del viaggio, ma sono anche le tappe della sofferenza di un popolo al quale papa Francesco vuol portare, con la sua presenza, non solo il conforto, ma soprattutto la speranza di un nuovo inizio alla vita civile, sociale e religiosa.
Non è un caso che nel logo ci sia la colomba col ramoscello d’ulivo a sovrastare il Paese: è il richiamo biblico all’arca di Noè e il segno di una nuova rinascita.
Giovanni Barbieri