La Repubblica di Fiume e la Carta del Carnaro

D’Annunzio e il lunigianese De Ambris protagonisti di quella stagione del 1919-1920. Il 12 settembre 1919 D’Annunzio volle la soluzione illegale della “questione fiumana” che al termine della prima guerra mondiale non era andata all’Italia.

Fiume, 1919: Gabriele D'Annunzio (con il bastone) in posa con alcuni “legionari”
Fiume, 1919: Gabriele D’Annunzio (con il bastone) in posa con alcuni “legionari”

La prima Guerra Mondiale lasciò pesanti eredità anche nei paesi vincitori, i complicati atti dei trattati di pace aprirono nuove contese, tra queste ci fu l’incerta definizione del confine orientale italiano. Cento anni fa, il 12 settembre 1919, l’ardita avventura guidata da D’Annunzio cercò di dare una soluzione illegale alla “questione fiumana”. Fiume, oggi Rijeka che in lingua serbo-croata significa fiume, nei secoli sotto il dominio del patriarca di Aquleia e poi di Venezia, passò all’Austria nel 1815.
La maggioranza degli abitanti parlava italiano, ma nel patto di Londra del 26 aprile 1915 – col quale l’Italia fece il vorticoso giro di walzer passando dall’alleanza con Austria e Germania all’Intesa con Francia, Gran Bretagna e Russia ed entrò in guerra – che Fiume diventasse italiana in caso di vittoria non era stabilito, era assegnata alla Croazia. Era utile lasciare uno sbocco al mare ai paesi mitteleuropei gravitanti sull’Adriatico. Nei rapporti internazionali, a guerra finita, era forte una linea antislava, soprattutto antiserba, specialmente da parte dell’Italia che reclama necessaria la sua presenza a Fiume e in Dalmazia e abbandona la conferenza di pace di Versailles perché le viene negata. In conformità al principio dell’autodeterminazione dei popoli, sostenuto da Wilson presidente USA, Fiume viene assegnata ai croati in attesa di formare il regno degli slavi del Sud (Jugoslavia), che ai fiumani non va assolutamente bene. La linea di Wilson, degli inglesi e francesi è impedire un dominio italiano sull’Adriatico. A questo punto D’Annunzio coi suoi eterogenei legionari volontari (circa duemila giovani, arditi, reduci insoddisfatti) guida la marcia su Fiume. Ruba autocarri all’esercito italiano e muove da Ronchi oggi denominata dei Legionari presso Trieste.
L’immaginazione più sfrenata del poeta-soldato diventa la realtà e nasce la Reggenza Italiana del Quarnaro, D’Annunzio ne è il Comandante. L’audace colpo di mano coglie di sorpresa anche il governo italiano, che reagisce in modo incerto e maldestro e inefficace ad un’azione organizzata sull’onda di suggestioni creative, dell’utopia di creare un laboratorio di esperienze politiche inedite e fare di Fiume la capitale mondiale della lotta per la libertà e l’indipendenza, una “città di passione”, lo Stato dei poeti. La realtà fu invece ben presto dura, mancavano cibo e aiuti finanziari e D’annunzio si ritrovò sempre più isolato.
Durò fino al Natale 1920, quando un nuovo governo Giolitti ordinò alla nave Andrea Doria di puntare i cannoni, fece morti, il poeta-vate si dimise e si ritirò al Vittoriale sul lago di Garda. Si era creata una crisi diplomatica che reclamava con minacce il rispetto del trattato di Rapallo firmato il 12 novembre 1920 che costituì Fiume stato indipendente, sarà il trattato di Roma del 1924 a dichiararla italiana e resterà tale fino al 1945. La Reggenza di Fiume fu regolata dalla Carta del Carnaro, una Costituzione progressista di forte innovazione, ispirata alla ricerca di una “terza via” tra capitalismo e bolscevismo.
Fu pensata e scritta da Alceste De Ambris, fatto capo di gabinetto di D’Annunzio. Nato a Licciana Nardi nel 1874, morirà esule in Francia nel 1934. Un eretico del socialismo lo definì Ubaldo Formentini, passò al socialismo rivoluzionario diffusosi nella cultura europea “con frange di sovversivismo radicale” per lo storico Renzo De Felice.
La Repubblica del Carnaro De Ambris la concepisce come “una democrazia diretta basata sul lavoro produttivo, con le più larghe autonomie funzionali e locali, la sovranità è di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, razza, lingua, classe sociale e religione, garantisce l’istruzione primaria per tutti, un minimo di salario sufficiente alla vita, assistenza sanitaria e per involontaria disoccupazione, pensione, inviolabilità del domicilio, la proprietà è considerata come funzione sociale a beneficio dell’economia generale, i sindacati sono previsti come corporazioni integrate nella struttura dello Stato”. De Ambris segue un modello di stato sociale corporativo, non proletario, ha una certa vicinanza al Mussolini di provenienza socialista, ma si distacca quando diventa fascista; Giulivo Ricci scrive che credeva D’Annunzio il solo uomo capace di impedire il trionfo del fascismo.

Celebrazioni e proteste per i cento anni dell’ “impresa”

In occasione dei cento anni dall’impresa dannunziana a Fiume sono stati pubblicati nuovi studi e a Trieste in piazza della Borsa è stata collocata una statua di D’Annunzio, celebrazioni ha fatto anche Pescara città natale del poeta “immaginifico”. La statua ha provocato le proteste ufficiali della repubblica di Croazia, membro dell’Unione Europea. Nel modo più deciso condanna un “atto che contribuisce a turbare i rapporti” tra i due paesi, un atto “scandaloso” e “illegale”, anche se deciso dall’amministrazione triestina di centrodestra e non da autorità statali.
Il ministro degli Esteri croato ritiene che vi sia anche un “omaggio a un’ideologia e a un comportamento profondamente in contrasto coi valori europei”.
A Fiume sarà fatta una mostra con titolo e contenuti provocatori “L’Olocausto di D’Annunzio” che critica i 16 mesi dell’occupazione. La risposta della destra italiana è stata di parte e parimenti pungente, la polemica è definita assurda: la statua è riconoscimento di un grande poeta che tutti gli altri venuti dopo hanno “attraversato” come riconosce Eugenio Montale Nobel della poesia. Al di fuori delle polemiche di parte, gli eventi della storia vanno sempre ricordati e studiati con giudizio critico e libero da pregiudizi.
A togliere la bandiera dalla statua c’era anche lo storico Giordano Bruno Guerri, presidente e direttore della Fondazione Vittoriale degli Italiani, autore del saggio “Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione a Fiume” (Mondadori 2019) che negli Incontri del salotto d’Europa ha presentato di persona a Pontremoli quest’estate.
Col suo fare apparentemente antiaccademico ha narrato aspetti privati del poeta-soldato e divertenti aneddoti insieme a un valido giudizio storico in cui sostiene che D’Annunzio e la sua impresa non avevano nulla di fascismo. Alfredo Bassioni, avvocato e autore di pubblicazioni di giurisprudenza, curatore degli Incontri, quest’anno ha dato alle stampe note e buoni commenti sulla “Charta Quarnerina” in memoria di Fiume e De Ambris. (m.l.s.)

Maria Luisa Simoncelli