Ramingo, vinto, non domo… Garibaldi sbarca a Portovenere

Il 5 settembre 1849. Braccato per settimane dopo la fine della Repubblica Romana, l’eroe si imbarca in Maremma e arriva in Lunigiana grazie ad un pescatore di San Terenzo

La lapide che ricorda l'approdo di Garibaldi a Portovenere
La lapide che ricorda l’approdo di Garibaldi a Portovenere

Sulla grande lapide in marmo bianco un medaglione in bronzo mostra il profilo di Garibaldi come fosse intento a guardare ben oltre la difficile contingenza che qui viene celebrata: lo sguardo è rivolto ad ovest, verso quel mare che pochi anni dopo lo avrebbe visto prendere il largo per la spedizione dei Mille.
Sono passati centosettanta anni dal fortunoso sbarco di Giuseppe Garibaldi a Portovenere: era il 5 settembre 1849 e l’eroe dei due mondi così completava la sua fuga lunga e rocambolesca al termine della breve stagione che aveva portato alla fine della Repubblica Romana.
A pochi metri dal mare, oggi quella lapide è quasi del tutto trascurata dalle migliaia di turisti che ingolfano il molo della sesta delle Cinque Terre, eppure è lì a ricordare uno degli eventi che se fossero andati diversamente avrebbe visto cambiare la nostra storia. Quanto fossero stati difficili quei giorni lo si intuisce dall’iscrizione celebrativa che ricorda un Garibaldi approdato a Portovenere “ramingo, vinto non domo”. Lo stile è quello del 1922, anno nel quale venne collocata la lapide a cura della locale Società di Mutuo Soccorso, ma bene delinea lo stato d’animo del momento.
Garibaldi, aveva lasciato la futura capitale d’Italia il 2 luglio 1849 dopo i cinque mesi della Repubblica: “io esco da Roma: chi vuol continuare la guerra contro lo straniero, venga con me…”. Lo seguirono in quattromila: la meta era il Piemonte e il Regno di Sardegna, ma la strada era lunga, piena di insidie e il numero dei fuggiaschi diminuiva ogni giorno.

Il monumento eretto sulla spiaggia maremmana di Cala Martina
Il monumento eretto sulla spiaggia maremmana di Cala Martina

Dopo l’attraversamento dell’Umbria e aver trovato la Toscana sotto il pieno controllo nemico, incalzato dalle truppe di Vienna, Garibaldi aveva deciso di raggiungere prima le Marche, poi la Romagna per imbarcarsi alla volta di Venezia. Il tentativo non riuscì per l’intervento della flotta austriaca e, tornati in Romagna, il gruppo si sbandò. Molti furono catturati, alcuni giustiziati; qui, nella fuga, morì Anita.
Garibaldi riuscì ad allontanarsi: tornato in Toscana trovò aiuto e riparo in Maremma, nella campagna non lontano da Follonica. Falliti numerosi piani di fuga per continuare il viaggio verso nord, venne deciso di tentare ancora la sorte via mare.
Qualcuno era a conoscenza del fatto che all’Isola d’Elba spesso attraccasse Paolo Azzarini, un pescatore ligure quarantenne del quale ci si poteva fidare: era di San Terenzo e attraversava il Tirreno a bordo della “Madonna dell’Arena” con il padre e i quattro marinai. Gli venne proposta la missione di portare via in gran segreto un patriota in fuga: il pescatore accettò, ma l’impresa restava difficile. Batté tutta la costa tra Piombino e Talamone per trovare un approdo sicuro per quell’imbarco clandestino: la scelta cadde su Cala Martina, una minuscola baia nascosta dalla fitta vegetazione.
La sera del 2 settembre Garibaldi, protetto dal buio e scortato da un gruppo di fedelissimi, percorse il sentiero verso il mare e riuscì ad imbarcarsi sotto falso nome senza imprevisti. Il giorno seguente l’imbarcazione fece sosta all’Elba per superare l’ultimo ostacolo: vidimare i permessi di transito, ma il pescatore era conosciuto e nessuno controllò l’identità degli uomini a bordo. Il resto della navigazione fu prudente e tutto filò liscio: il 5 settembre la barca approdò a Portovenere, porto sicuro del Regno di Sardegna.
Garibaldi era salvo e fu grato al pescatore che “la fortuna gli aveva fatto incontrare sulla terra italiana dominata dai Tedeschi”. Ma anche in “terra amica” i problemi non erano finiti: la sera del giorno successivo venne infatti fatto arrestare a Chiavari dal generale La Marmora e condotto a Genova.
Toccò alla Camera dei Deputati del Regno di Sardegna esprimersi contro l’arresto e per la liberazione che tuttavia significò l’esilio, prima in Nord Africa, poi a New York, in estremo Oriente, infine ancora negli Stati Uniti. Sarebbe tornato in Italia nel 1854. Oltre alla lapide di Portovenere altri monumenti ricordano l’odissea garibaldina del 1849. In particolare quello eretto a Cala Martina, a pochi metri dalla spiaggia, nel primo centenario dell’imbarco. Anche qui, ogni anno, centinaia di ignari turisti attratti dalla bellezza del paesaggio e dalla limpidezza delle acque della piccola baia (e di quella vicina, la ben più famosa Cala Violina) osservano distrattamente.

Paolo Bissoli