
Domenica 17 marzo, II di Quaresima
(Gen 15,5-12.17-18; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36)
Il percorso che porterà Gesù al Calvario è iniziato. Il momento è importante e difficile. L’unico modo per affrontarlo con la dignità di figlio di Dio è prepararsi pregando. Soltanto tre dei seguaci di Gesù sono in grado di unirsi a Lui. Potrebbero essere andati sul Tabor, come vuole la tradizione, ma è possibile che il salire in monte sia soltanto segno di elevazione spirituale.
Nella preghiera Gesù abbandona ciò che è terreno ed entra nella luce del “pensiero” sfolgorante di Dio. Alla luce di quel pensiero – Pietro, Giacomo e Giovanni – riescono a vedere il loro Maestro in modo nuovo. Tutta la figura cambia di aspetto ed essi ne colgono la bellezza e lo splendore. Ora che sono in armonia col pensiero divino (lo testimonia la nube che li avvolge) sono in grado di comprendere quando Gesù spiega loro.
Sia nella legge (Mosè) che nei profeti (Elia), si annuncia che l’inviato di Dio dovrà molto soffrire. Sicuramente i tre amano il loro Maestro e, per questo, hanno timore. Ma soprattutto comprendono come, per essere veri seguaci, dovranno a loro volta vivere secondo i criteri che porteranno Gesù a donare la vita. Pertanto non stupisce il loro timore e nemmeno il tentativo ingenuo di fermare tutto. Qui si sta bene, facciamo delle tende, non andiamo oltre.
Questa esperienza forte ma contraddittoria – nel senso che ha elevato ma ha anche impaurito – è stata compresa interamente solo dopo la morte e risurrezione di Gesù. Anche per questo i tre non l’hanno raccontata subito. Ancor meno di loro sarebbero stati capaci di comprendere quelli che non avevano vissuta quella trasfigurazione. Il primo versetto del brano di Vangelo di questa domenica non è riportato per intero. Manca “Otto giorni dopo”.
Otto giorni prima Gesù aveva detto: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno”. Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Per noi cristiani l’ottavo giorno è quello della risurrezione, il giorno della salvezza che si raggiunge per mezzo di un cammino che non è perfettamente agevole.
Non è semplice infatti prendere la propria croce, rinunciare a considerare esclusivamente se stessi per preoccuparsi non solo dei fratelli ma anche di tutto il creato donato da Dio. Per fare esercizio, come fanno tutti gli atleti prima della competizione, la Chiesa ci chiede di vivere il digiuno, l’astinenza e, soprattutto, la preghiera. Questa è il mezzo per chiedere a Gesù, che ha vittoriosamente superato la prova, di tenerci per mano e di accompagnarci al pensiero di Dio.
Il percorso prevede di entrare nel deserto. Silenzio, percezione della propria piccolezza e dell’immensità di Dio ne sono le caratteristiche. Come per Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni non c’è bisogno di andare lontano, il nostro Tabor può essere su una panca di chiesa o anche sul divano di casa, l’importante è la disposizione del cuore.
Pier Angelo Sordi