La “Via Francigena Marchesana” da Aulla a Voghera per l’Appennino

Fu percorsa da Federico Barbarossa nel XII secolo con la guida di Obizzo Malaspina

Il castello di Oramala, in val di Nizza (PV)
Il castello di Oramala, in val di Nizza (PV)

Un “cammino” dalla Lunigiana all’Oltrepò Pavese, quella “via dei monti” che nel XII secolo l’imperatore Federico Barbarossa fu costretto a percorrere quando i pontremolesi gli chiusero le porte in faccia impedendogli di percorrere la strada della Cisa.
Un itinerario pensato, progettato e verificato sul campo da quel grande conoscitore di genti e territori d’Appennino che è mons. Domenico Ponzini, sacerdote di straordinaria sensibilità una vera e propria istituzione a Piacenza (è stato anche a lungo responsabile dei beni culturali di quella Diocesi) ma che non ha mai dimenticato le sue radici a Isola di Compiano dove è ricambiato dal commosso affetto della sua gente.
Già “padre” della Via degli Abati tra Bobbio e Pontremoli – nata tra molto scetticismo e con il tenace lavoro di pochi e diventato oggi un itinerario dal successo crescente – ora mons. Ponzini si misura con un progetto ancora più ambizioso: la “via Francigena Marchesana”.

Un viaggio di 250 chilometri per riscoprire le “vie dei monti”

Compiano nella valle del Taro
Compiano nella valle del Taro

Quale può essere l’itinerario della “via Francigena Marchesana”? Mons. Ponzini non ha dubbi e i sopralluoghi che ha svolto nelle valli dell’Appennino tosco-ligure-emiliano lo hanno confortato. Si parte da Aulla per raggiungere Terrarossa dove si lascia la sinistra del Magra per volgere ad occidente. Lusuolo è uno dei punti strategici e panoramici che introduce il “cammino” nel territorio che fu di Obizzo Malaspina: Canossa, Castevoli, Gavedo e Mulazzo altri centri attraversati, sempre con l’Appennino e le Apuane a fare da quinta al viaggio. In attesa di raggiungere la valle di Rossano si può salire a Montereggio e alla Madonna del Monte, altre due tra le soste più significative. Nello zerasco tra Rossano, Coloretta e Patigno non si può dimenticare Adelano con la presenza dell’eremo francescano e nemmeno i Due Santi: l’antico passo del Faggio Crociato. Da Zeri la discesa in val di Vara è breve: Sesta Godano offre l’incantevole borgo di Groppo di Rio prima di dirigersi verso l’alta valle del Taro. Non lontano da Albareto i paesi di Monte Groppo e Folta ricordano gli antichi passaggi degli abati di Bobbio diretti a Brugnato. Si arriva a Tarsogno, poi a Compiano e infine a Bedonia uno dei centri principali dell’itinerario. A Montarsiccio si entra in val Ceno per attraversarla verso la val d’Aveto: S. Stefano era una delle più importanti terre dei Malaspina e da solo merita la partenza. Vico Mezzano e Vico Soprano (il paese più alto della “via”, a 1.100 metri) segnano il percorso verso Cariseto, il borgo sperduto nell’appennino piacentino che conserva ancora i resti del castello dove pernottò il Barbarossa (“Di che cosa vive qui la gente” chiese l’imperatore a Obizzo. “Cacciando e rubando”, rispose il Malaspina). La discesa conduce a Ponte Organasco dove si attraversa il Trebbia. Nella vicina Montarsolo una quercia millenaria è già meta di numerose escursioni. Superato il confine amministrativo si arriva in Lombardia: prima Santa Maria di Staffora, poi Varzi introducono nella provincia di Pavia; nella zona l’attrazione è il castello di Oramala dove l’imperatore trascorse un’altra notte, ma famoso soprattutto per i fantasmi che lo popolerebbero anche oggi. Ponte Nizza e Salice Terme sono le ultime tappe del viaggio: Voghera è all’orizzonte; qui, a 32 anni, nella seconda metà del XIV secolo morì San Rocco. Itinerario turistico, viaggio di fede, cammino interiore alla ricerca di dimensioni dimenticate, lungo una delle strade dei monti che troppo tempo fa erano le uniche possibili e che oggi restano straordinarie occasioni a portata di mano.

Il borgo di Castevoli
Il borgo di Castevoli

Se l’itinerario che ricalca il tracciato percorso da Sigerico nel X secolo è da tempo riconosciuto dal Consiglio d’Europa, non vi è dubbio che vi siano molti altri itinerari che nel corso dei secoli sono stati percorsi diventando occasionalmente prevalenti su quello che oggi conosciamo. Ma se la maggioranza sono dimenticati o sconosciuti o solo ipotizzati ma non suffragati da prove storiche, quello che mons. Ponzini è tornato ad illustrare un fondamento storico ce l’ha eccome.
“Quella che abbiamo chiamato via Francigena Marchesana – ha spiegato – era quella che i marchesi Malaspina utilizzavano per raggiungere i loro castelli nell’Emilia occidentale e che erano stati loro assegnati dall’imperatore Federico Barbarossa al quale avevano continuato a dimostrare fedeltà”.
L’itinerario moderno si propone dunque come un’alternativa alla via Francigena di Sigerico dalla quale si stacca ad Aulla e sulla quale torna a Voghera, non lontano da Pavia, quella città imperiale nella quale il Barbarossa voleva riparare dopo la sua quarta discesa in Italia tra il 1166 e il 1167 quando aveva scortato a Roma l’antipapa Pasquale III (il cardinale Guido da Crema), il secondo ad opporsi al pontefice Alessandro III, costretto alla fuga da Roma proprio per l’attacco dell’esercito imperiale. Ma l’epidemia di febbre (probabilmente malarica) scoppiata a Roma nell’estate colpì duramente l’esercito, provocando la morte di centinaia di soldati e decine di ufficiali; l’imperatore decise allora di rientrare in tutta fretta e riparare a Pavia, una delle due città che con Como gli erano rimaste fedeli nel fermento del sorgere delle leghe comunali anti imperiali.
Giunto in Lunigiana, poco a nord di Aulla, Federico Barbarossa venne informato che Pontremoli aveva chiuso le porte negandogli il passaggio: la via della Cisa era dunque preclusa. L’alternativa ad un lungo e incerto assedio al comune lo offrì il fedele Obizzo Malaspina che si mise a sua disposizione per accompagnarlo a Pavia lungo l’itinerario dei monti che lui stesso percorreva per raggiungere i possedimenti in val Taro, val Trebbia e oltre.

Paolo Bissoli