Gerusalemme: Trump getta benzina sul fuoco dei rapporti tra Israele e palestinesi

Forti reazioni alla decisione del presidente Usa di spostare l’ambasciata

47Trump_Gerusalemme_capitale“Oggi riconosciamo l’ovvio: che Gerusalemme è la capitale di Israele. Non è altro che un riconoscimento della realtà”. Con queste parole pronunciate lo scorso 5 dicembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato la decisione di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Dato che appare impossibile che Trump non sia a conoscenza dell’annosa e astiosa diatriba tra israeliani e palestinesi sul controllo di Gerusalemme, restano due le opzioni prevalenti: gesto avventato o provocazione. Immediate le reazioni all’annuncio, prima di tutte quella giunta dalle Nazioni Unite.
L’inviato speciale dell’Onu per il Medio Oriente, Nikolaj Mladenov, ha ribadito che lo status di Gerusalemme va negoziato e non può essere definito in modo unilaterale; secondo il diplomatico delle Nazioni Unite, “il futuro di Gerusalemme deve essere oggetto di negoziati diretti tra Israele e i palestinesi“.
A rendere ancora più complessa l’interpretazione del gesto contribuiscono altre dichiarazioni dello stesso presidente, secondo le quali gli Usa restano “fortemente impegnati per facilitare un accordo di pace accettabile da entrambe le parti” e sono a favore “di una soluzione a due stati”. Il tutto unito all’annuncio dell’avvio dei lavori per la costruzione della nuova ambasciata Usa a Gerusalemme, che secondo Trump sarà “un magnifico tributo alla pace“.
47GerusalemmeDifficile prendere sul serio certe affermazioni, a meno che per “pace” non si intenda l’obbligo per una parte di accettare prese di posizione stabilite senza alcuna trattativa. Perché anche i bambini sanno che Gerusalemme è la punta dell’iceberg che in tutti questi anni ha contribuito a gelare i rapporti tra i due contendenti. “Gerusalemme è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, che in essa venerano i luoghi santi delle rispettive religioni, e ha una vocazione speciale alla pace”, ha ricordato anche Papa Francesco al termine dell’udienza di mercoledì 6 dicembre, raccomandando che “prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione” nel panorama politico internazionale. Di ben altro tono e molto più preoccupanti le reazioni del mondo arabo.
Una nota della presidenza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) informava che il presidente palestinese Mahmoud Abbas, in un colloquio telefonico, avrebbe messo in guardia Trump circa le “conseguenze pericolose della scelta per il processo di pace, la sicurezza e la stabilità nella regione e nel mondo”. Il sovrano saudita, a sua volta, ha espresso a Trump la sua contrarietà alla decisione assunta perché il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele “rappresenterebbe una flagrante provocazione per i musulmani in tutto il mondo” e rischierebbe di innescare una escalation in tutta la regione”.
Di superamento di una “linea rossa” ha parlato il turco Erdogan, che si è impegnato a organizzare un summit dei leader dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic), di cui è presidente: “mobiliteremo tutto il mondo musulmano” con l’obiettivo di denunciare la decisione americana. Il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme capitale dello Stato ebraico da parte della Casa Bianca è stato definito atto “pericoloso” anche dal presidente della Lega araba. Volendo giocare con le parole, quindi, si potrebbe dire che, in realtà, in tutta questa vicenda di “ovvio”ci sia soltanto il rischio di innesco di nuovi scontri in un territorio da anni martoriato da un conflitto che ha già causato un numero altissimo di vittime. (a.r.)