Politica italiana ripiegata su se stessa mentre si decide l’Europa del futuro

L’8 e il 9 giugno si vota per l’Europarlamento. Sono le elezioni più importanti per un Vecchio Continente nel guado di un cambiamento d’epoca, ma le forze politiche italiane le affrontano senza una visione di come sarà l’Europa di domani

Foto Calvarese/SIR

Una specie di super-sondaggio sulla politica e il gradimento di leader e partiti: in questo si stanno trasformando le imminenti elezioni per il rinnovo dei 76 seggi italiani al Parlamento Europeo.
A certificarlo sono i manifesti e gli slogan elettorali già comparsi nelle strade e sul web, ma anche le strategie comunicative e le mosse politiche dei leader politici di casa nostra. Quelle dell’8-9 giugno saranno probabilmente le elezioni europee più importanti della storia della Cee-Ue.
Nella prossima legislatura europea, la decima da quando l’assemblea di Bruxelles e Strasburgo è eletta a suffragio universale, l’Europa sarà di fronte a decisioni che potrebbero cambiare la ragion d’essere della stessa Unione.
Parlamento, Commissione e Consiglio Europeo dovranno decidere se dare compimento al Green deal per il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050 – obiettivo su cui si indirizzarono nel 2019, a seguito della nascita del movimento ecologista promosso da Greta Thunberg – o se ingranare la retromarcia sui temi ambientali, come ha tentato di fare nell’ultimo anno e mezzo la parte di popolari interessata all’alleanza con l’estrema destra.
Parallelamente il ritorno della guerra in Europa sta imponendo una riflessione sull’opportunità di una vera e propria difesa comune in alternativa al continuare individualmente in politiche estere e difese nazionali sotto l’ombrello di una Nato a guida americana.
Ne seguono prospettive diverse di politica estera: l’Unione Europea del futuro sarà una forza di pace che promuove la tutela della democrazia e dei diritti inviolabili dell’uomo, senza le ipocrisie e i doppi pesi a cui abbiamo assistito in questi anni, oppure agirà sugli scenari internazionali di proprio interesse impiegando la forza militare, come vorrebbe il presidente francese Emmanuel Macron?
La Ue, visitata in questi giorni da Xi Jinping, sarà passiva esecutrice delle scelte americane nelle relazioni politiche e commerciali con la Cina, oppure si ritaglierà un ruolo autonomo?
In uno scenario complesso in cui tutto si lega, i Ventisette dovranno scegliere se dare seguito alla prima embrionale esperienza di debito comune nata con il Next Generation Eu (il Pnrr, per intenderci); se regolamentare la finanza speculativa globale, ridurre le disuguaglianze e rilanciare il modello sociale europeo basato sul welfare state, oppure proseguire sul dogma dell’austerità e di un capitalismo per il quale “tutto è mercato”, compresi i beni comuni e il trasferimento di un migrante, che vale 20 mila euro, compromettendo però la tenuta dei sistemi democratici.

La sede della Commissione dell’Unione Europea a Bruxelles

Bene: in questo scenario da cambiamento d’epoca che la politica è chiamata a interpretare e guidare, la campagna elettorale italiana parla d’altro.
L’obiettivo dei partiti di casa nostra circa le europee sembra essere solo quello di misurare i rapporti di forza dentro alla coalizione di governo e tra i partiti dell’opposizione.
La Lega cerca di erodere voti a destra (con una parte del partito sempre più in sofferenza) parlando alla pancia del Paese. “Meno Europa, più Italia” è tutto quello che propone Salvini in uno scenario di cambiamento d’epoca. Condendo la propria proposta con manifesti auto-caricaturali contro la farina di insetti o l’invasione islamica.

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (FdI)

Fratelli d’Italia, il cui gruppo parlamentare a Bruxelles si è astenuto sul nuovo Patto di Stabilità mentre al Consiglio Europeo Meloni lo sottoscriveva, si presenta alle elezioni “con Giorgia” candidata in tutte le circoscrizioni.
Il volto della premier e aspirante eurodeputata (ma per essere eletta dovrebbe dimettersi da Palazzo Chigi) oscura qualsiasi proposta sull’Europa di domani: l’8-9 giugno FdI cerca un referendum pro o contro Meloni.
Forza Italia punta invece sull’immagine del Fondatore scomparso un anno fa e sull’eterno slogan “Berlusconi Presidente” nel simbolo elettorale, con il braccio di Antonio Tajani sembra alzato in segno di vittoria solo perché sostenuto dalla mano del suo ex mentore. Un po’ poco per un Ministro degli Esteri in carica ed ex presidente del Parlamento Europeo.

La segretaria del PD Elly Schlein

C’è poi l’opposizione, con i democratici che si spingono a chiedere nei loro manifesti elettorali un generico “l’Europa che vogliamo si impegna per il cessate il fuoco” (dove? A quali condizioni?) e altrettanti generici slogan su un Europa inclusiva, sostenibile, solidale, senza scendere nei dettagli pena l’ennesima spaccatura nel partito.
I 5 Stelle, invece, collocano la parola “pace” nel loro simbolo esattamente come si scrive “senza olio di palma” su un prodotto da forno, semplicemente perché tranquillizza il consumatore, senza però che il partito di Giuseppe Conte abbia ancora definito la sua fisionomia, oscillando opportunisticamente dentro e fuori l’ipotetica alleanza con il PD.
In questo contesto, sperare in qualche idea di Europa da qui all’8 giugno è fuori luogo. La politica con la P maiuscola è del tutto morta; plausibilmente lo certificheranno anche gli elettori con un’ulteriore avanzata del partito dell’astensione.

(Davide Tondani)