Domenica 25 giugno – XII del Tempo Ordinario
(Ger 20,10-13; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33)
Nella seconda parte del discorso missionario Gesù insiste sulla franchezza che deve avere chi è mandato, perché ha una forza particolare che gli deriva dalla assistenza di chi lo manda.
1. “Non abbiate paura”: per tre volte Gesù ripete questa esortazione. Egli ha sperimentato sulla sua pelle le difficoltà del ministero e l’umiliazione di essere rifiutato dai suoi, conosce le difficoltà e quindi mette in guardia i suoi discepoli.
Non fa come certi predicatori itineranti che nelle feste paesane fanno l’elogio del santo di turno e ne descrivono le virtù come se fossero stati dei super-uomini.
Il discepolo autentico sente la grandezza della missione e delle sue poche forze. Se non è ben radicato nella fede, di fronte alle incomprensioni e agli insuccessi è tentato di lasciare tutto e di ritirarsi a vita privata.
2. Voi valete più di molti passeri. Il fallimento nel ministero è una purificazione in vista di un bene maggiore; non è una sconfitta, ma il momento di rivedere la propria fede e di ricalcolare le proprie forze.
Non siamo perfetti, siamo peccatori, ma perdonati e non privati della possibilità di essere strumenti per compiere grandi cose. Non solo siamo più importanti “di molti passeri”, ma ci ripetiamo le parole di San Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza”, una forza che non viene dai nostri calcoli ma dalla fede in Gesù, il quale non abbandona chi si è fidato di lui.
La nostra umana fragilità non ci toglie la possibilità di essere strumenti nelle mani di Dio e di esclamare anche noi: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”.
3. “La gioia del Signore è la vostra forza”, dice il governatore Neemia ai reduci da Babilonia per incoraggiarli nella ricostruzione del tempio. La gioia di Dio è forza, e la pace divina che riempie l’anima di gioia è come una roccaforte contro le avversità della vita.
Con questo stesso pensiero anche papa Francesco inizia la lettera programmatica del suo pontificato: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”. La gioia che proviene dal Signore ci mette al riparo da ogni sventura.
I cristiani sono sicuri che Dio non li abbandona, ma che li visita dall’alto ogni giorno come il sole che sorge, perché il Signore risorto illumina le nostre menti e riscalda i nostri cuori.
Ci rendiamo conto delle nostre debolezze, ma viviamo nella serenità che ci viene dalla fede, e la fiducia in Dio fa scaturire in noi la pace e il sorriso. Pensiamo al sorriso di papa Giovanni XXIII e a quello altrettanto simpatico di papa Giovanni Paolo I: è il sorriso di chi è capace di guardare con serenità verso l’avvenire e con simpatia verso i presenti. Se tutti gli uomini di Chiesa sapessero sorridere!
† Alberto