La guerra dopo la pandemia: il mondo rischia una grave crisi alimentare

Aumenti dei prezzi e difficoltà di approvvigionamento potrebbero scatenare il fenomeno

Distribuzione di aiuti alimentari da parte delle Caritas parrocchiali (Foto Siciliani-Gennari/SIR – Repertorio)

Dell’impatto negativo della pandemia sul sistema economico mondiale è già stato scritto ampiamente, così come della ripresa che iniziava a manifestarsi con sempre maggiore consistenza. Diverso il discorso per quello che riguarda le conseguenze negative, sempre a livello economico, legate alla nuova situazione di crisi innescata dalla guerra di Putin contro l’Ucraina. Se un mese e mezzo di combattimenti e massacri sembrano un’eternità dal punto di vista delle morti di persone e distruzioni dei territori, ben poco può, invece, significare per analisi approfondite e attendibili sull’impatto economico che tutto questo potrà avere, sui Paesi direttamente interessati ma anche su tutto il mondo in generale.
In mancanza di certezze, gli esperti devono fare previsioni basate sui dati che emergono giorno per giorno; va da sé che, essendo sul terreno delle stime e delle previsioni, tali riflessioni lasciano aperte le porte alle conclusioni più disparate. Alcuni dati di fatto, però, appaiono incontestabili.
Per quanto riguarda i prezzi dei generi alimentari, gli aumenti già registrati a febbraio hanno trovato triste conferma nel mese di marzo, con l’indice dei prezzi salito del 65% rispetto al 2020. A questo forte rialzo non concorrono più solo gli aumenti dei costi dell’energia e dei fertilizzanti; dall’inizio della guerra in Ucraina, a fare la differenza contribuisce in modo consistente la caduta dell’offerta dei cereali, di cui quel Pese e la stessa Russia sono grandi esportatori.

Persone ai tavoli di distribuzione degli aiuti alimentare della Caritas Parrocchiale (Foto Siciliani-Gennari/SIR – Repertorio)

Stessa sorte è toccata anche agli oli vegetali e, di seguito, a carne e derivati dal latte. Per ora è rimasto fuori da forti rialzi il riso, molto usato nei Paesi poveri. A destare maggiori preoccupazioni sono la crescita dei prezzi e l’ipotizzato calo di disponibilità dei cereali, legato soprattutto al blocco della navigazione nel Mar Nero (meno 60% dei trasporti marittimi), ma anche alla possibilità per l’Ucraina di provvedere al raccolto estivo. I prezzi dei cereali sono aumentati del 17,1% trainati da grano e cereali minori.
Secondo la Fao, negli ultimi tre anni le esportazioni di questi prodotti da parte di Russia e Ucraina hanno rappresentato il 30% circa delle esportazioni mondiali di grano e il 20% di mais. Se si considera che il consumo di cereali (in gran parte grano e riso perché il mais è destinato soprattutto all’allevamento degli animali) copre in media nel mondo il 43% del fabbisogno giornaliero di calorie (che sale al 56% nei Paesi in via di sviluppo), è facile capire come l’ipotesi di gravi crisi alimentari nei Paesi dotati di minori risorse economiche non sia così campata in aria. Fao e Fondo monetario internazionale hanno stimato che il drastico calo di disponibilità di cibo potrebbe andare a colpire 13 milioni di persone in più rispetto al 2021. Discorsi simili si potrebbero fare per il mercato dei fertilizzanti, settore in cui Russia e Bielorussia, detengono il 20% del commercio (con la Russia al primo posto nel mondo).
A far salire i prezzi di questi prodotti, molto usati nella coltivazione di grano, mais e orzo, ha contribuito in gran parte l’aumento dei prezzi del gas naturale, elemento indispensabile per la produzione di fertilizzanti. A complicare ulteriormente la situazione provvedono, poi, le sanzioni imposte ai due Paesi a seguito dell’invasione dell’Ucraina. A cascata, i rincari si faranno sentire anche sui prezzi al dettaglio che, secondo una stima di Assoutenti, potrebbero subire aumenti tra il 15 e il 30%. A cominciare dalla pasta, già aumentata a partire da gennaio, seguita dal pane e dai prodotti dolciari.
Ma sarà difficile che altri settori possano resistere alla tentazione di approfittare della situazione per mettere a segno qualche aumento. Come è già accaduto per il settore energetico, i cui prezzi erano schizzati verso l’alto già prima dello scoppio del conflitto, ma che il giorno dell’invasione russa hanno subito un aumento repentino del 30%. Immaginare che dietro ci siano pensieri speculativi non appare così lontano dalla realtà. Lo stesso discorso vale per i carburanti: è difficile trovare un rapporto comprensibile tra l’oscillazione del prezzo del petrolio e il costo alla stazione di servizio.
Mentre il petrolio passava da meno di 100 a 120 dollari al barile, alcuni distributori hanno aumentato del 21% la benzina e del 23% il gasolio: da considerare il fatto che prima che il grezzo arrivi raffinato alla pompa ne passa del tempo! Sempre secondo Assoutenti, l’impatto di tutti gli aumenti prevedibili potrebbe costare alle famiglie più di 1.500 euro in un anno; una cifra destinata ad aumentare se questo stato di cose dovesse continuare a lungo e in mancanza di provvedimenti adeguati da parte del Governo.

(a.r.)