S. Nicolò e S. Geminiano: la sfida tra falò è solo rimandata

Per il secondo anno consecutivo non si accendono le pire tra Magra e Verde

I fuochisti di San Nicolò al lavoro per realizzare la pira del falò
I fuochisti di San Nicolò al lavoro per realizzare la pira del falò

“Lo, lo, lo, evviva (o abbasso)…” per il secondo anno consecutivo, a causa della pandemia, i ponti Pompeo Spagnoli e della Cresa, non sentiranno risuonare questo grido che i sostenitori dei fuochisti di San Nicolò o di San Geminiano, intonano in attesa che si compia il rito dell’accensione della pira lungo il greto del fiume Magra o del torrente Verde. Una liturgia popolare arcaica, che torna ogni anno, il 17 e il 31 gennaio, a riscaldare i cuori dei parrocchiani di San Nicolò e del Duomo, pronti con cori da stadio ad inneggiare quelle plastiche frustate di luce per provare a sigillare la superiorità scenica dell’evento. 

Una superiorità poi del tutto platonica e soggettiva visto che in realtà non c’è alcun giudice terzo che abbia il compito di stabilire un effettivo primato, ma che in realtà è basato solo sul giudizio (assolutamente di parte) degli stessi contendenti che non lesinano critiche alla pira avversaria e spassionati elogi al proprio falò. Del resto questa è una sfida che si porta dietro gli echi dei conflitti medievali tra guelfi e ghibellini e che ha mantenuta accesa una sana rivalità tra le due fazioni. Una competizione che ha visto nel corso dei decenni momenti di audacia e coraggio contrapposti a veri e propri colpi bassi. Alternando “Eroismo e comicità dei falò” come titolava un articolo del Corriere Apuano del 1950, pezzo nel quale è possibile ritrovare alcuni simpatici aneddoti. Come quando i fuochisti di San Geminiano “requisirono” alcune fascine a delle incolpevoli contadine che le portavano al mercato. L’autore del gesto fu condannato ma, come racconta l’articolo “divenne una specie di martire per la combriccola”. O quando, nel 1917, i fuochisti del patrono si vendicarono dello sgarbo fatto l’anno prima dai ragazzi del Vaticano e, approfittando del “cambio della guardia” diedero fuoco alla pira di San Nicolò “e sarebbe bruciato anche il casello ferroviario se Galli che abitava lì non avesse avvertito del pericolo”.
E poi non si può non citare l’ironica penna di Pasquin, che in un articolo apparso sul nostro settimanale nel 1955 (brano pubblicato anche nel libro “La Cresa”) racconta di quando alcuni rappresentanti di San Nicolò si inerpicarono lungo Sant’Ilario cercando di dare fuoco alla catasta di legna raccolta dai loro avversari. A difesa della pira c’era tale “Babin”, che si mise di guardia indossando il piviale e la mitra della statua di Sant’Ilario. Illuminato solo dalle torce, ai ragazzi di San Nicolò parve sicuramente una visione spettrale e, come racconta Pasquin, “tacca a scapare a testa bassa senza sapere gnanca dove metteva i piedi e cammina cammina va proprio a sbattere in braccia al M° Pioli. Peggio di così non ci poteva capitare! Ha chiappato più sculaccioni lui quel giorno che tutta la quarta elementare in un anno”.
Insomma ogni mezzo era più che legittimo per far trionfare la propria parte. Del resto tutta la storia dei falò è in questa rivalità, in questo dualismo innato, in questa voglia di far primeggiare il proprio rione. Perché guardando con gli occhi della razionalità è quasi incomprensibile chi si affanna (magari prendendosi giorni di ferie dal lavoro) a cercare legna in fredde giornate autunnali o chi è disposto a passare intere sere all’addiaccio per difendere il suo prezioso patrimonio di legno dal tentativo di attacco dei contendenti. Le parole che vengono alla mente sono quindi “quei pazzi”, “quei folli”. Eppure quel falò che dura solo pochi minuti e poi viene trascinato via dalla forza del vento diventa lo specchio di un’intera storia, di un’intera comunità.
Si fa festa nella “baracca”

Una sfida che, dopo una fase di appannamento negli anni ’70 e ’80, ha saputo nuovamente richiamare attenzione, anche da un punto di vista turistico, tanto che nel 2006 è nata l’associazione “I falò d’ Puntremal” per mantenere e valorizzare la tradizione dei falò. Associazione sorta dopo che le storiche e inevitabili diffidenze tra le due parti, sono state “affogate” in abbondanti mescite di vini nostrali e “ammorbidite” da generose fette di salumi locali. Dimostrazione che al di là del legittimo tifo di parte si possono unire gli intenti per far crescere Pontremoli.

Nel nostro piccolo, possiamo dire che “Il Corriere Apuano” ha dato un contributo alla rinascita di questa ancestrale sfida, grazie ai coloriti resoconti di due storiche firme del nostro giornale: quella del nostro direttore, Antonio Ricci “vaticanista” doc, e di Luciano Bertocchi dall’incrollabile fede verso i colori biancorossi di San Geminiano. Una cronaca fatta di “botta e risposta” a due settimane di distanza, che ha trovato posizione nella collocazione più importante della cronaca cittadina a partire dal 1990, quando a.r. scriveva, con assoluta certezza, che madame Butterfly si era buttata dal ponte Pompeo Spagnoli perchè neppure “un fil di fumo” si era alzato dal falò di San Nicolò. Resoconti fatti di ironia e goliardia, figli di quella sfida che continua ad attraversare i secoli. 
Ma che, quando le circostanze lo impongono, vede fuochisti e supporter di San Nicolò e San Geminiano capaci di abbracciarsi, come successo negli anni recenti, nel ricordo di Angiolino Moscatelli e di Robert “Hubert” Bellotti.          (r.s.)