Il reddito di cittadinanza va corretto, ma ha permesso a migliaia e migliaia di persone di avere un po’ di sollievo nella tribolazione. Tuttavia il dibattito nazionale lo conduce chi ha stipendi da favola
La dichiarazione di Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, sul reddito di cittadinanza, se non offensiva per chi è in povertà e ne usufruisce, è perlomeno, per usare un eufemismo, infelice: “Per me il reddito di cittadinanza è metadone di Stato”. Si tratta, secondo lei, non di risolvere un problema enorme quale quello della povertà, ma di mantenere chi ne usufruisce nella condizione di povertà senza vie di uscita. Naturalmente sulla questione si inserisce, non poteva farne a meno, Salvini proponendone l’abolizione per usare gli stessi soldi in funzione di nuovi posti di lavoro.
Contro il reddito di cittadinanza sta il fatto che c’è chi ha rifiutato un posto di lavoro, accontentandosi di ciò che percepisce, ricordando che l’importo massimo erogabile ammonta a 780 euro al mese e pochi, lavorando, arrivano a quella somma. Probabilmente i posti di lavoro offerti non erano, dunque, abbastanza remunerativi. C’è anche chi ne ha approfittato usufruendone senza averne diritto. Si dice anche che questo intervento non ha portato i frutti – nuovi posti di lavoro attraverso i famosi navigator – che si proponeva. È tutto vero. Ci sono certamente dei correttivi da fare. Ma ci sono anche alcune osservazioni che non si possono ignorare. Non è che prima del reddito di cittadinanza ci fossero posti di lavoro a sfare.
La disoccupazione nel 2019 era al 10% e non era facile trovare un impiego a tempo indeterminato. Se poi si aggiunge un fatto non del tutto secondario come la pandemia da Covid che ha portato il Paese, non solo il nostro, in una crisi economica evidente e drammatica c’è da domandarsi dove e come era possibile attuare la parte della legge riguardante l’impiego. Tuttavia è necessario riflettere su chi fa certe affermazioni circa la povertà. Non è una realtà astratta. E se circa cinque milioni, il 7,7% di cittadini italiani erano sotto la soglia di povertà prima della pandemia, oggi sono certamente molti di più.
C’è da ricordare che per il 2019 l’Istat aveva fissato la soglia di povertà assoluta, della gente che non sa come arrivare a fine mese anche facendo sacrifici, a 839,75 euro mensili per chi risiede in un’area metropolitana del Nord, 754,26 se vive in un piccolo comune del settentrione, 566,49 se in un piccolo comune del Mezzogiorno. Forse non si sa, ma ci sono persone che percepiscono la pensione sociale pari a 460,28 euro per 13 mensilità! I riferimenti più recenti sullo stato di povertà sono quelli di Roma Capitale, poiché lì è stata pubblicata una ricerca su “Le nuove povertà nel territorio di Roma Capitale”.
Diffusa a fine luglio, non ha avuto il riscontro che invece merita. Accanto alla solitudine degli anziani emerge la questione dell’abitare. Più di 50mila persone vivono in uno stato di provvisorietà abitativa: tra le 8mila e le 10mila sono letteralmente senza dimora; 15mila – 16mila nuclei familiari vivono nelle 100 occupazioni romane; 1.100 nuclei familiari vivono nei residence; c’è poi tutto il discorso delle baracche, dei campi rom e degli insediamenti riconosciuti o non riconosciuti che siano.
È una popolazione piuttosto consistente, è una “mini cittadina”. Accanto a questi c’è tutto il popolo di coloro che rinunciano all’acquisto di beni non di prima necessità; coloro che rinunciano a una visita medica o di controllo “perché troppo costosa”; coloro che non riescono a far fronte a spese impreviste; coloro che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, che non possono pagare le bollette di casa o la rata di affitto o del mutuo, che non riescono ad acquistare beni di prima necessità…
Spesso si tratta di persone che appartengono alla categoria dei cosiddetti “nuovi poveri”, persone che hanno perso il lavoro, che hanno esaurito i risparmi o che si trovano ad essere gli unici portatori di reddito in famiglia. Essi provengono spesso da mondi fino ad oggi ritenuti solidi dal punto di vista economico. Per far fronte alle difficoltà economiche si sono rivolti dapprima alla cerchia familiare o amicale per poi approdare ai centri socio assistenziali sia pubblici che di volontariato.
Il dato più preoccupante è che il 76% delle persone che hanno usufruito degli aiuti lo ha fatto per la prima volta. È doveroso anche ricordare che si fa fatica, per vergogna o per dignità, a decidersi a chiedere aiuto. Di fronte a questo quadro riguardante Roma, ma non è difficile immaginare che dalle altre parti le cose siano molto diverse, sarebbe opportuno avere più attenzione. Il reddito di cittadinanza ha permesso a migliaia e migliaia di persone, non di vivere in sicurezza, ma almeno di avere un po’ di sollievo nella tribolazione.
Chi parla, forte di stipendi da favola, dovrebbe cercare di immaginare come si fa a vivere con 800 euro al mese e guardare in faccia questo mondo, più dignitoso di quanto si immagini.
Dovrebbe ogni tanto calarsi nella realtà, incontrare non la gente dei comizi o delle feste di partito, ma quella invisibile che troppo spesso non sa cosa mettere in tavola per sé e per i propri figli. Altro che metadone. A nessuno piace vivere nella miseria.
(G.B.)