
Domenica 6 giugno – SS. Corpo e Sangue di Cristo
(Es 24,3-8 – Eb 9,11-15 – Mc 14,12-16.22-26)
Gesù si allea definitivamente con ogni corpo e con ogni sangue, anche con il nostro. Adesso. “Mentre mangiavano, prese il pane”. Prende il corpo, a dire che i nostri corpi sono fatti per essere presi, accarezzati, baciati, venerati, desiderati. Non si può dirsi cristiani continuando a dimenticare il corpo, ma il corpo vivo, quello irrorato dal sangue e non la sua reliquia, quello che fa paura perché cambia e si ammala ed è fragile. Quello che chiede di essere accudito, quello che desidera essere desiderato. Quello che è una supplica di cura, soprattutto quando è malato. Pane/corpo da prendere mentre si mangia, mentre si vive la vita. Senza chiamarsene fuori mai. Non c’è posto per l’astinenza quando si ama. Il digiuno è lecito solo in assenza dello sposo. Con lo sposo che il corpo si faccia amore! Che non abbia paura di prendere e di lasciarsi prendere. Quotidianamente, come il pane.
“Recitò la benedizione”, su un corpo affamato d’amore la benedizione non è la stanca ripetizione di una infantile preghiera ma sono parole di fuoco, appassionate parole d’amore a scaldare il sangue nei muscoli della vita. Poesia che brucia, infuoca, commuove, strappa i veli del pudore: bene-dire di un corpo che ha fame di essere amato, senza censure. Un corpo che ha fame di essere sfamato, che brucia per essere custodito. Un corpo che piange quando è piccolo per essere accarezzato, questa è benedizione. Un corpo che sprigiona vita e chiede di non essere contenuto quando è giovane. Un corpo che cammina e arrampica e respira e gode della vita quando è maturo. Un corpo che chiede di essere venerato quando si ammala. E quando invecchia. E che sia preso per mano quando sta per morire. Questo è benedire la vita in corpo e sangue. Unica fede a cui sento, oggi, di appartenere.
“Spezzò il pane e lo diede loro” come una zolla di terra che si apre, fertile e umida a ricevere il seme. Il nostro corpo non si spezza per sacrificarsi, non si spezza per perdersi, non si spezza per obbedienza al dolore: ma per rispondere all’antica vocazione della fecondità. Spezzarsi eucaristicamente è lasciarsi arare dall’amore per non restare sterili. Le parole non bastano. Serve carne da prendere, aprire e da fecondare. Serve sentire che il nostro corpo è vivo per questo.
“Prendete questo è il mio corpo” questo sono io, una vita che ha bisogno di sentirsi presa. Di lasciarsi prendere dalle persone che ama. Non ho paura di mostrarti il mio bisogno d’amore. Scandaloso e tenero, commovente e vero.
“Questo è il mio sangue dell’alleanza”. Il sangue è il vino, l’alleanza rimanda al calore dell’amore. Alla bevanda che scioglie le inibizioni. Siate voi adesso corpi che amano, che l’unico eucaristico rito sia il vostro corpo, amante vivo e divino.
don Alessandro Deho’