
Tanti e rilevanti i costi che l’epidemia da Covid19 presenterà alla società italiana
La seconda ondata pandemica, quella che per minimizzatori in camice bianco o negazionisti da tastiera non sarebbe mai arrivata (ma per questi ultimi anche la prima ondata era un’invenzione del “sistema”), sta dispiegando tutta la sua tragica potenza, travolgendo per prima cosa il clima di apparente coesione sociale della scorsa primavera. Sorge la domanda: chi pagherà il prezzo di questa stagione inedita della vita del Paese?
I costi sono di diversi tipi. Un costo politico lo pagherà il governo Conte: dopo avere traghettato l’Italia fuori dalla prima epidemia tra lo stupore e l’ammirazione internazionale, ha perso mesi preziosi per preparare l’autunno. Si è passati in pochi giorni dalla caccia al podista solitario con droni al massimo permissivismo su movide, discoteche, vacanze in Paesi a rischio. E nel frattempo non si è fatto nulla sui trasporti pubblici (corresponsabili le regioni), la scuola si è avvitata in un dibattito surreale (l’anno scolastico sta andando avanti solo grazie all’impegno di dirigenti e insegnanti e alle connessioni internet personali dei docenti), la cassa integrazione straordinaria deve ancora essere pagata a molti lavoratori.
Non solo: i dati sui luoghi di contagio o non sono stati raccolti o non sono stati utilizzati a dovere. Per questo, l’idea che la gente comune si fa è che le misure restrittive vengano prese quasi alla cieca, suscitando proteste e malumori. A tutto ciò si aggiungano gli effetti di 20 anni di tagli alla Pubblica Amministrazione, sanità e scuola in primis.
Anche l’architettura istituzionale sconterà un costo in termini di fiducia e credibilità. 20 anni fa il regionalismo fu la promessa del centrosinistra, allora in affannoso inseguimento del leghismo, di istituzioni più vicine ai cittadini. Le regioni (21: troppe) hanno mostrato in questa emergenza, la loro inadeguatezza in tema di sanità. Quando a marzo il governo prese in mano le redini della situazione, i presidenti di Regione protestarono reclamando compartecipazione. Il loro protagonismo si è limitato agli show del campano De Luca, a battibecchi a distanza e soprattutto ad allentare le misure sanitarie. Quando si è trattato di tornare alle decisioni impopolari, è stato tutto un rimpallo con Roma.
Ora, con quali credenziali Lombardia e Veneto, ma anche Campania, Liguria e tutte le altre, continueranno a chiedere l’autonomia differenziata? Sarà, però, soprattutto il tessuto sociale a pagare un prezzo più alto per questa crisi. Quali conseguenze avrà sulle giovani generazioni un 2020 (speriamo non anche il 2021) di didattica a distanza (dove la connessione funziona)? Quali danni hanno subito i bambini isolati nel primo lockdown?
Mentre in tutta Europa la scuola è l’ultima a chiudere, in Italia è la prima. Non è un caso che il 4 maggio, quando si allentò il primo lockdown, fossero pronti i protocolli sanitari per bar e ristoranti, ma non quelli per il ritorno degli studenti nelle aule scolastiche e universitarie. E alle prime avvisaglie della seconda ondata, mentre gli spritz proseguivano, le scuole sono state chiuse, benché nessuna di esse, in Italia, si sia mostrata essere un focolaio.
E infine vi sono i costi economici: con un debito pubblico che schizzerà al 160% del PIL, un prevedibile innalzamento del debito privato delle imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro in bilico – quando verrà meno il blocco dei licenziamenti – sarà necessario fare cassa usando giustizia sociale, equilibrio e lungimiranza.
Per ora è parso prevalere il gioco di lobbing: da quello della Confidustria – che chiede siano le imprese a a gestire i soldi del Recovery Fund, immemore del crollo degli investimenti in questi ultimi 20 anni in cui le imprese hanno tentato di uscire dalla morsa della globalizzazione solo con la compressione salariale – a quello del mondo del commercio. Quest’ultimo chiede ristori a gran voce ma l’atteggiamento sembra quello di chi vuole alzare la posta rispetto a risarcimenti a fondo perduto che, necessariamente, sono commisurati alle differenze di fatturato tra aprile 2019 e aprile 2020.
Non certo una buona notizia per chi ha fatto dell’occultamento dei propri ricavi al fisco una prassi abituale. Già, perché l’evasione fiscale è uno dei tre convitati di pietra al tavolo della discussione sul futuro del Paese. Gli altri due sono un’imposta patrimoniale straordinaria, che chieda alle categorie più affluenti di dare una mano a un Paese con un debito pubblico che potrebbe presto diventare insostenibile, e una web-tax sugli affari dei giganti del commercio online.
Statistiche e senso pratico dicono che si tratta di due categorie che con la pandemia hanno migliorato la loro condizione economica. Ma dati gli interessi in ballo, opinionisti prezzolati per tenere alti gli indici di ascolto tv con baruffe e qualunquismo hanno individuato una scorciatoia che parla alla pancia del Paese: a pagare la crisi siano i lavoratori dipendenti, meglio se pubblici, perché quelli, si sa, prendono lo stipendio senza lavorare. Se questo è il livello del dibattito promosso da sedicenti intellettuali: auguri Italia!
Davide Tondani