Cristo Re

Domenica 22 novembre – XXXIV del Tempo Ordinario
(Ez 34,11-12.15-17; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46)

44vangeloE sarà smarrimento. Il giudizio ultimo sulla storia getterà smarrimento nella memoria di uomini incapaci di riconoscersi: quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere? E tu racconterai di una vita che si è decisa nella poesia delle piccole cose: di un bicchiere d’acqua che passa di mano in mano, di un pezzo di pane che si lascia spezzare, di una porta aperta che lascia entrare, di un vestito che copre fragilità, di una fasciatura sulla ferita, di uno sguardo che non concede spazio a condanna. Tutto qui. Davvero: Tutto, è, qui. Vedere il Tutto nelle piccole cose di ogni giorno. E questo crea smarrimento. Per chi ha semplicemente vissuto questo stile senza comprenderne la portata di eternità. Ma anche per chi non ha dato importanza, e magari ti ha cercato, Dio, in ben altre solennità.
Matteo 25: come pagina strappata dalle mani del futuro, come se il Signore volesse, consegnandocela, rubare spazio al nostro smarrimento, come per non lasciarci arrivare inconsapevolmente alla fine della nostra vita. Matteo 25 non è racconto di ciò che sarà, non è anticipazione dell’ultima nota del pentagramma umano, il racconto del Vangelo di oggi è il tentativo di istruirci alla consapevolezza, quella di cercare il volto di Dio nei luoghi e nelle modalità in cui Lui si lascia trovare. Perché dopo aver letto la pagina di Vangelo è chiaro che l’Infinito si schiude tra le pieghe della piccolezza. Che il volto di Dio si lascia incontrare nella costruzione paziente di un’umanità buona. Che vivere di fede è uccidere la banalità e la superficialità e l’inconsapevolezza.
E che niente è banale per chi ama. Che la vita è preziosa perché è continuamente attraversata, in ogni minimo battito, dall’appello definitivo alla nostra libertà: essere per o contro l’uomo. E questo si decide in ogni goccia d’acqua o briciola di pane o soglia sbarrata. Prima di salire sul Calvario, Dio delle piccole cose, tu ingoi con questo racconto di giudizio, lo spettro dell’inconsapevolezza. Adesso noi sappiamo. Sappiamo che niente è senza importanza, sappiamo che la costruzione dell’umanità, di una umanità accolta e accarezzata e guarita nelle sue fragilità più profonde, coincide con la costruzione del volto di Dio. Amare l’uomo come lo ami Tu è conoscere Te. E il profilo dell’uomo fedele muta radicalmente l’indispensabile liturgia del diventare uomini.
Avvicinarsi al fratello, curare, servire: ma sotto la navata del Mondo, sugli altari della sofferenza, tra le pagine sacre della marginalità, è lì che si svela la presenza di Dio. Una liturgia che non contraddice quella che si gioca tra le mura dei templi di ogni latitudine ma che forza quei muri come a terminare una gravidanza che finalmente desidera il mondo. La liturgia della chiesa germoglia nella storia e trova il suo compimento tra le strade e raccoglie dalla stesse strade il motivo ultimo della sua esistenza. Baciare il Vangelo e baciare il fratello, abitare il silenzio liturgico e lasciare spazio all’altro, riempirsi di canti e innamorarsi dei rumori del mondo. La liturgia del Vangelo germoglia nelle vicende dell’umanità. E vive di quelle.

don Alessandro Deho’