
Ottant’anni fa il grido del duce da Palazzo Venezia: “Vinceremo”. Fu l’inizio della tragedia

Da un inserto del Corriere della Sera 1989 firmato da Enzo Biagi raccogliamo cronache e testimonianze del momento dell’entrata in guerra dell’Italia. Il grande giornalista ventenne era a Bologna praticante per Il Resto del Carlino, inviato in piazza per osservare e narrare la reazione della gente allo storico e tragico annuncio. Era un pomeriggio molto afoso e non salvava l’ombra dei portici.
La scena era stata ben preparata dalla propaganda fascista: operai coi cartelli delle loro fabbriche, giovani in divisa, le ragazze sorridenti in camicetta bianca, le donne venute dai campi, mentre alla radio suonavano le orchestre di Barzizza e di Angelini con i ritmi sincopati all’americana di Alberto Rabagliati e Natalino Otto e delle sorelle del Trio Lescano, erano in attesa dell’annuncio che venne alle 18 precise quel lunedì 10 giugno 1940 al grido “Vinceremo!” lanciato dal “marmoreo” duce dal balcone di palazzo Venezia a Roma.
Ancora una volta la piazza era colma di una moltitudine di bandiere e di persone che urlavano “guerra guerra” e acclamavano il capo delle “decisioni irrevocabili” e dell’ora “segnata dal destino”: tragica scena di delirio collettivo. “La selva delle bandiere si sollevava come una fiamma verso il cielo” commenta Enzo Biagi, ma di sicuro nel silenzio immenso del cuore tante mamme, spose, fidanzate versavano lacrime. Il quadro internazionale era sconvolgente: la Polonia invasa dall’1 settembre 1939 era annientata, l’esercito tedesco aveva già invaso il Belgio e l’Olanda e marciava verso Parigi.

L’Italia, scoppiata la guerra, per 284 giorni praticò la “non belligeranza”, un neologismo ipocrita in attesa che Mussolini pronunciasse “la parola paurosa e fascinatrice: guerra”. Era ben consapevole della debolezza militare, dell’impreparazione dell’esercito già dimostrata in Albania, dopo anni di propaganda militarista non aveva il coraggio di confessarlo a Hitler e alla nazione, ma non voleva essere relegato in una posizione marginale, aspirava al ruolo di grande potenza dell’Italia conducendo una guerra “parallela” a quella dei tedeschi alleati per poter pretendere un ambizioso bottino col suo “migliaio di morti da buttare sul tavolo della pace”.
Prima della dichiarazione di guerra all’Inghilterra e alla Francia già c’era l’oscuramento, si facevano le prove degli allarmi, le cantine venivano trasformate in rifugi alla meno peggio con qualche palo di legno e qualche secchio di sabbia, era stato razionato il cibo e distribuite le tessere annonarie, scarseggiava il carbone e si faceva fuoco con palle di carta messe a seccare, era sparito il caffé e bisognava adattarsi al karkadè, inevitabile venne fuori il mercato nero. Le ragazze non potevano più comprarsi le calze di seta, era stato vietato ballare, ma si rimediava con festicciole private.
La decisione di entrare in guerra Mussolini la prese di testa sua senza che il re ancora una volta facesse sentire la sua voce. Ruppe gli indugi il 10 giugno dopo il crollo della Francia, voleva imitare i successi dei tedeschi. La situazione economica non permette all’Italia una guerra di lunga durata: delle 74 divisioni dell’esercito solo 19 sono complete di uomini e di armi, truppa e ufficiali sanno ben adattarsi, sopportano bene la fatica, in maggioranza sono contadini ben avvezzi a resistere al maltempo, agli sforzi stressanti, alla scarsità del rancio, situazioni che però non bastavano a supplire l’inferiorità di mezzi.
Mussolini impaziente agita l’ideologia della “guerra proletaria” contro le potenze “decadenti e plutocratiche”: uno stupido orgoglio rispetto a come stava la realtà delle cose. I soldati italiani il 21 giugno attaccarono la Francia, un paese in parte sotto la diretta occupazione tedesca e per l’altra parte sotto il governo collaborazionista del generale Petain che aveva firmato l’armistizio coi tedeschi.
Fu una “pugnalata” contro un esercito già sconfitto ma ancora resistente, che disponeva di un’ottima linea di difesa e inflisse notevoli perdite agli italiani preparati male e che dovettero affrontare anche eccezionali condizioni di maltempo.
Cadde ben presto per tutti l’illusione della guerra-lampo: fu una guerra mondiale che durò sei anni, colpì soprattutto la popolazione civile per l’impiego degli arnesi micidiali della guerra aerea e nucleare. Il crollo della Francia sembrava far credere non solo a Hitler imminente anche la sconfitta britannica con l’operazione “Leone marino” di invasione dell’isola accanitamente bombardata, ma, guidati dal tenace stratega Churchill, gli inglesi forti nel morale vinsero la “battaglia d’Inghilterra”, fermarono lo slancio di conquista del nazismo, riuscirono pure ad affrontare la guerra dei sottomarini tedeschi contro i convogli mercantili di rifornimento.
Mussolini attaccò gli inglesi in Africa, dapprima ci fu qualche successo, ma già a ottobre 1940 la controffensiva inglese si è organizzata e spinge via nel marzo 1941 gli italiani dall’Impero dell’Africa Orientale conquistato cinque anni prima. Le grida di guerra, i canti e le acclamazioni al duce in divisa fascista col braccio teso in avanti nel saluto romano della sera del 10 giugno di ottanta anni fa si smorzeranno in successive sconfitte ed enormi perdite di vite umane e in tribolazioni di ogni genere.
Maria Luisa Simoncelli