
Cileno, sempre in prima linea in difesa i diritti umani e dell’ambiente. Morto in Spagna vittima del coronavirus

Era stato uno dei primi personaggi famosi ad essere colpito insieme alla moglie, contagiato da covid 19: Luìs Sepùlveda dopo una dura lotta ha dovuto soccombere e si è spento ad Oviedo, in Spagna, il 16 aprile. Era nato in Cile nel 1949. Amava in modo particolare la Patagonia, il silenzio forte delle terre australi e là avrebbe voluto spegnersi, lo confida nel suo romnzo “Il mondo alla fine del mondo”. L’espressione usata da papa Francesco, argentino, è stata accolta anche da Luìs Sepùlveda, affascinato dall’immensità di spazi e di imponenti montagne gelate, terre predilette fra le tante esplorate e abitate, è stato un viaggiatore, un ambientalista a modo suo, per cinque anni sulle navi di Greanpeace per contribuire a salvare il mondo dalle malefatte dell’uomo contro la natura.
Ma l’impegno è stato massimo anche sul piano civile e politico, fu un “uomo contro”, oppositore sempre dei governi autoritari che connotano la storia sudamericana. Di modesta famiglia, studia all’Università di Mosca grazie ad una borsa di studio, si è schierato in battaglie per gli uomini in difficoltà in Bolivia, in Ecuador, fra gli indios dell’Amazzonia, in Cile, fece parte della guardia personale del presidente Salvador Allende, ucciso dal colpo di stato del generale Pinochet.
Sepùlveda è stato arrestato, torturato, condannato all’ergastolo, liberato per interventi di Amnesty. La via dell’esilio lo ha portato ad Amburgo, poi in Francia, ora aveva casa in Spagna ad Oviedo. La sua grandezza è legata prima di tutto alla sua creatività letteraria. Ha arricchito di nuova gloria una feconda letteratura ispanica centrosudamericana che ha dato scrittori e poeti magnifici, premiati col Nobel: Asturias, Rigoberta Menchù. Mario Vargas Llosa, Borges e il connazionale cileno Pablo Neruda, Marques. Sono generazioni di poeti e scrittori che hanno sperimentato linguaggi, inventato mondi, intrecciato culture e hanno cercato di rendere più comprensibile e più umana la realtà sociale e politica creando il sogno, trovando la leggerezza della fiaba, questi sono i connotati della immaginazione anche di Sepùlveda.
Già da bambino era stato affascinato dai romanzi di Salgari, Conrad, Melville, presto si diede all’arte dello scrivere su giornali, testi radiofonici e regie teatrali. Un primo grande romanzo gli ha dato fama “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”. Nei giorni dei Bancarella abbiamo visto esposti gli altri suoi capolavori: i grandi libri delle favole “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa” con evidenti reminiscenze da Melville, “Storia di un cane che insegna a un bambino la fedeltà” e la bellissima “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”.
Come da sempre la favola diverte e educa: a causa dell’aggressione dell’uomo alla natura il mar Nero è stato contaminato dal petrolio e la gabbiana Kengah con le ali imbrattate arriva moribonda sul balcone dove sta il gatto Zorba, dal quale ottiene la promessa che coverà il suo uovo, avrà cura della gabbianella che si schiuderà e le insegnerà a volare. Il gatto che vive nella “evoluta” comunità felina ha bisogno dell’aiuto di tutti per farla volare. La morale della favola è esplicita: amore per la natura, solidarietà, generosità, convivenza fra “diversi”. (m.l.s.)