Domenica 2 giugno. Ascensione del Signore
(At 1,1-11; Eb 9,24-28;10,19-23; Lc 24,46-53)
Oggi la Chiesa italiana celebra l’Ascensione, che Luca racconta due volte: nel suo Vangelo, come evento finale della vita di Gesù, e negli Atti, come evento iniziale della vita della Chiesa. Il nostro governo, nel 1976, abolì la festa civile, che cadeva di giovedì, e la Chiesa italiana ne spostò la celebrazione alla domenica successiva, per questo oggi non ascoltiamo le letture della VII domenica di Pasqua, dove si contempla il grande mistero dell’intercessione del Risorto presso il Padre.
I due racconti odierni leggono l’evento da due prospettive differenti.
Negli Atti l’Ascensione avviene quaranta giorni dopo la resurrezione. Nel Vangelo accade nella tarda sera del “primo giorno della settimana”, “il giorno senza fine”, quello della tomba vuota, delle apparizioni del Risorto. Gesù entra nella vita eterna alla destra di Dio Padre e avviene la discesa dello Spirito. Siamo nella casa del cenacolo, a Gerusalemme. I due di Emmaus, tornati a rotta di collo, hanno appena raccontato la loro esperienza e gli altri, stupiti, testimoniano che il Risorto è stato visto dalle donne e da Simon Pietro.
Tutti, speranzosi e confusi, parlano di Lui, e Lui compare in mezzo a loro, dona la pace, e dice cose definitivamente nuove: “Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi”. Non è più con loro come prima, uomo, maestro e profeta; ora è il Signore, la sua voce è dotata pienamente della forza dello Spirito. “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno”.
Ora possono finalmente comprendere. Aveva annunciato loro più volte la sua passione e morte, ma questi discorsi erano parsi scandalosi, o quantomeno enigmatici. Ora che si sono compiuti, ora che Gesù, in obbedienza alla volontà del Padre, ha accolto l’odio su di sé, amando tutti fino alla fine, ora, finalmente, è possibile capire le Scritture. Ora da discepoli diventano “martiri”, testimoni.
Andranno ad annunciare la Sua morte e resurrezione, la riconciliazione e il perdono da parte di Dio a tutta l’umanità. Tutti sono testimoni, tutti divengono annunciatori del Vangelo, non solo gli apostoli, ma anche gli altri presenti e i credenti delle future generazioni.
Gesù è venuto a trovarci non per castigarci, ma per annunciare il perdono dei peccati. Ha fatto una morte da “uomo giusto”. Ha accolto su di sé l’odio e la menzogna dei malvagi e ha risposto con l’amore, presentandoci la vera immagine di Dio. Ed è salito al Padre per rivolgerGli una incessante preghiera di perdono e misericordia. Le sue ultime parole sono state: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, e la sua ultima promessa è stata rivolta ad un malfattore: “Oggi sarai con me in paradiso”.
La misericordia vissuta da Gesù, deve essere annunciata a tutte le genti. L’unico compito evangelico è annunciare, e fare, misericordia, soprattutto ai poveri, ai malati, ai sofferenti, e far sentire la propria vicinanza ai peccatori. “Cominciando da Gerusalemme”, e fino ai confini del mondo.
Essere testimoni di questo annuncio (e di nessun altro) non sembra funzionale, né credibile, e appare quasi impossibile da realizzare. Ma quel gruppetto di ebrei marginali nelle geometrie del potere di allora, la sera di Pasqua, hanno ascoltato, hanno capito e da allora hanno tentato instancabilmente di mettere in pratica proprio questo: il perdono dei peccati.
E questo insegnamento è giunto fino a noi. Nessuna paura: quando Gesù, il Figlio di Dio, sale al cielo, ecco che ne discende lo Spirito, che ci accompagna e ci ispira in questa missione.
Pierantonio e Davide Furfori