Il Signore Gesù è buono e grande nell’amore

Domenica 24 febbraio, VII del Tempo Ordinario
(1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; 1Cor 15,45-49;  Lc 6,27-38)

08vangeloLuca prosegue il resoconto del discorso di Gesù in cui il Maestro delinea le discriminanti tra bene e male. “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Parole inaudite, ancora oggi scandalose, apparentemente impraticabili. Ma sono la naturale conseguenza del comandamento “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Sempre, anche quando ti è nemico, anche quando ti fa del male.
Un cristiano non può odiare persone alle quali il Padre di tutti concede i beni della creazione. Nella Legge, veniva precisato con cura tutto ciò che non si doveva fare. Qui i comandamenti sono in positivo e non limitati al popolo di Israele, ma estesi a ciascuno di noi. Non praticare il male non è sufficiente, ci viene chiesto di fare tutto il bene possibile, guidati dallo Spirito di Dio, continuando a crescere in sapienza e grazia. La società occidentale in cui viviamo è ormai post-cristiana.
Per molti nostri concittadini il Vangelo è un peso, una costrizione, un ostacolo alla libertà. Ma la “morale” cristiana non è imperativa, né astratta. Prende forma dalla sequela di Gesù. Nasce da una conversione profonda, che ci allontana dalle logiche del mondo, dal guadagno ad ogni costo e dalla ricerca del godimento immediato ed irresponsabile.
Ma come si risponde alla violenza? La risposta della Torah era la “legge del taglione”, che presentava un argine alla violenza: “Occhio per occhio e dente per dente”. Apparentemente scandaloso, primordiale, da guardare con sufficienza, dall’alto della nostra esperienza storica. Salvo che, ancora oggi, la vendetta moltiplicata è ben presente nelle rappresaglie belliche, nella violenza terroristica, nelle guerre tra bande, nelle faide.
Superando la Legge, Gesù ci ingiunge di non resistere al malvagio. Propone una pratica mite, umile, misericordiosa, l’unica capace di arrestare la reazione a catena della violenza. Fa degli esempi: “A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro”. Non vuole suggerire un’esecuzione letterale del comando, indica l’atteggiamento da tenere verso l’aggressore. Non ci chiede di essere ingenui, né tanto meno passivi di fronte alla violenza, ma portatori di pace. Non ci vuole rassegnati, né depressi. Non dobbiamo permettere che l’ingiustizia trionfi.
Ci è richiesto un atteggiamento capace di far ascoltare al violento e al prepotente una domanda che non si è posto. Non ci dice di tacere, né di fuggire. Dobbiamo intervenire, rinunciando all’offesa e alla violenza. Come suggerisce San Paolo, dobbiamo, e possiamo, “vincere il male con il bene”.
Questa è la “differenza cristiana” del discepolo di Gesù rispetto a giudei, pagani, indifferenti e non credenti. Amare l’altro al di fuori di ogni logica di reciprocità, senza richiedere contraccambio. Il cristiano deve vincere la paura del diverso, avere il coraggio di opporre il bene al male e chiedere a Dio il bene, la felicità, la vita dell’aggressore.

Pierantonio e Davide Furfori