
Domenica 3 marzo, VIII del Tempo Ordinario
(Sir 27,5-8; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45)
Gesù fa una domanda apparentemente senza senso ai discepoli: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” È ovvio che è così, un cieco non può guidare un altro cieco. Quello che può fare però, è incespicare al suo fianco, senza pretendere di guidarlo. Ed è questo ciò che vuole il Maestro dai suoi discepoli e dalla sua Chiesa, ma non solo, e lo mette in chiaro con la frase seguente: “Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”.
Noi uomini siamo tutti peccatori, e né la fede in Cristo né qualsiasi altra nostra qualità cambia questa verità. Pertanto nessun uomo può ergersi a ‘guida’ indiscutibile di un altro uomo. Gesù smantella in due frasi il mito, oggi ancora presentissimo a prescindere dallo schieramento politico, del ‘leader’, la persona che ‘vede più in là’, e pertanto alla quale può essere delegato il pensare.
Anche noi cattolici in politica ci siamo spesso abbandonati a questo mito, cercando in capi carismatici la soluzione ai problemi della società, senza capire che il problema non è il capo ‘sbagliato’, è l’idea di capo in sé. L’uomo che vede più in là non esiste, siamo tutti ciechi, e tutto quello che possiamo fare è avanzare a tentoni aiutandoci l’uno l’altro.
La frase seguente è tra le più citate, e citate più a sproposito, di tutto il Vangelo: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” È una reiterazione del concetto precedente: non c’è uomo privo di peccato, per cui nessuno può correggere il prossimo pretendendo di non aver bisogno a propria volta di correzione.
Tristemente, la frase viene usata quasi sempre nel modo più sbagliato, da persone fermamente convinte di essere il fratello con la ‘pagliuzza’, e nella loro bocca la frase si traduce in un “Tu pensa ai fatti tuoi e lasciami fare quello che voglio, perché tanto ho fatto meno errori di te”.
Ma Gesù non sta facendo una classifica, non dice che se accadesse il viceversa, se il fratello con la pagliuzza indicasse la trave dell’altro, allora il gesto sarebbe accettabile. Abbiamo tutti una trave in un occhio, nessuno è ‘più meritevole’ di qualcun altro. Ma il messaggio del Figlio non è di deprimente rassegnazione: “Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono”. I gesti di carità e gentilezza generano buoni frutti, a prescindere dalle circostanze. E i gesti di disprezzo e crudeltà generano frutti cattivi a prescindere dalle circostanze.
Una lezione attualissima, in un mondo che sempre più spesso cerca di inculcare nelle menti di tutti l’idea che la cattiveria e l’odio possano essere ‘giusti’ e portare buoni frutti, a patto che si scelga bene chi odiare. Il Figlio ci ricorda invece che chi compie il male può essere giudicato buono, ma genera solo altro male. E chi compie il bene può essere giudicato malvagio, ma genera altro bene. Un bene che il Padre ricorderà.
Pierantonio e Davide Furfori