Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia. ” Rimanete nel mio amore “

Domenica 6 maggio, sesta domenica di Pasqua
(At 10,25-27.34-35.44-48; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17)

18Vangelo“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. Gesù, dopo essersi proclamato unico principio della vita soprannaturale, incita i discepoli a una profonda unione con lui, ricambiando l’amore che ha portato loro, potente come quello con cui lui è amato dal Padre.
“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Aderire ai comandamenti ha prodotto in Gesù la gioia di aver compiuto pienamente la sua missione. E trasmette questa gioia ai suoi discepoli.
Non è soltanto una prospettiva di gioia futura, ma si può gustare già da ora, nella piena comunione con Gesù e con il Padre. “Che vi amiate l’un l’altro, come io ho amato voi”.
La stessa relazione che c’è tra il Padre e il Figlio è anche tra il figlio e i discepoli, e, necessariamente, tra i discepoli, gli uni per gli altri. L’amore che ha donato gioia ai discepoli si espande nell’amore che loro stessi si donano reciprocamente.
Proprio da questo si verifica la presenza in loro dell’amore ricevuto da Gesù. L’amore fraterno è il comandamento per eccellenza. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. Questa non è un’esortazione ai discepoli per indurli ad andare incontro alla morte per i propri amici. Gesù sta parlando di se stesso, ed indica che la propria morte sarà una testimonianza suprema d’amore. L’accento è sull’amore come motivazione della sua croce, ma non significa che Gesù non sia morto anche per coloro che gli erano nemici.
“Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Spiega meglio cosa intenda per “amici”. Se i discepoli credono in Lui e amano Lui e i fratelli, il Figlio li riconosce come “amici”.
Nella Bibbia, in riferimento alla relazione con Dio, “servo” è un titolo di nobiltà: la fedeltà senza riserve a Dio caratterizza le persone importanti della storia di Israele. Solo in altri contesti assume il senso di schiavo, ad esempio quando indica un uomo assoggettato a un padrone di questo mondo, o, spesso, alla potenza del peccato.
Quindi già il titolo di servo sarebbe abbastanza importante, ma il legame di amicizia è di più, deriva dal fatto che Gesù ha detto ai suoi amici “tutto” quello che ha udito. La condivisione con i discepoli è stata ed è forte, generata dall’amore. Questa è affermazione che ci deve dare una grande gioia, perché ci dice che i discepoli, di tutti i tempi, sono i suoi amici perché tutto quello che ha sentito dal Padre, lui ce lo ha rivelato.

Pierantonio e Davide Furfori