Recuperiamo il valore del Santo Rosario
La statua della Madonna conservata nel Museo Diocesano di Pontremoli e proveniente dalla chiesa parrocchiale di Pracchiola
La statua della Madonna conservata nel Museo Diocesano di Pontremoli e proveniente dalla chiesa parrocchiale di Pracchiola

Maggio è il mese tradizionalmente dedicato, dalla pietà cristiana, alla Madonna, Madre di Dio e nostra. È il mese dei fiori, della primavera, della speranza. Ed è il più indicato per onorare una Donna la cui obbedienza al progetto di Dio ha permesso la salvezza dell’umanità mediante la morte e Resurrezione di Cristo. In Lei, nuova Eva, prima discepola del Figlio e madre della Chiesa, si riassumono i secoli passati e prendono avvio quelli futuri fino all’avvento definitivo del Regno. In Lei, il mondo invecchiato riceve le primizie della seconda creazione.
Per onorare questa Donna singolare nacque, nell’XI secolo, la preghiera del Rosario il cui nome significa “corona di rose”. Se la rosa è la regina dei fiori, il Rosario è la rosa delle diverse forme di devozione perché riporta, in modo sintetico, tutta la storia del piano di salvezza di Dio per gli uomini. Non per nulla, in tutte le sue apparizioni, la Vergine ha esortato le persone a recitare il Rosario.
Un bisogno di pregare semplice e ripetitivo, di esprimere la propria riconoscenza alla Madonna e di interiorizzare ciò che viene espresso tramite le parole. Nel 1560, Papa Pio V introdusse, dopo l’Ave Maria, la Santa Maria facendo diventare il Rosario anche una preghiera di intercessione, a cui, in seguito, vennero aggiunte le litanie.
Giovanni Paolo II proclamò, dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003, l’Anno del Rosario aggiungendo altri cinque misteri ai quindici già contemplati. Li chiamò “Misteri della Luce” per rammentarci che Gesù è la Luce vera. Molti problemi delle nostre famiglie dipendono dalla poca comunicazione; si sta poco insieme e non si dialoga più.
Un tempo il Rosario si recitava, la sera, in quasi tutte le case, riunendo più persone di età diversa. Ricordo che maggio brillava con i suoi colori mentre, nella minuscola frazione di Vico – Monterole, dove abitavo, si spandeva lieta la primavera. I gerani, schierati sui muretti delle aie, si chiudevano alla brezza della sera dopo aver fatto l’occhiolino alle stelle: silenziose, alte, splendenti. Aspettavamo con impazienza il “Maggio odoroso” e la recita comunitaria del Rosario.
Dopo cena, nonna Clarice, uscendo sull’aia, gridava “As cumincia al Rosariu”. Immediatamente i pochi abitanti si riunivano attorno a mamma Gemma che, sgranando una vecchia corona di legno, recitava la preghiera raccomandata da Colei che, con il suo sì, ci ha donato Gesù.
A volte noi ragazzi eravamo un po’ disattenti e tardavamo a rispondere, perdendo il ritmo del tempo. Allora “gli occhiacci” dei nonni redarguivano, richiamandoci alla serietà del momento. Preparavamo l’altarino della Madonna, collocato su una mensola, adornandolo con mazzi multicolori, raccolti nei poggi solatìi. Dopo le litanie si intonavano i canti mariani che salivano verso il cielo terso. Tutti cantavano con gioia nonostante la fatica della lunga giornata, passata a lavorare nei magri campi.
Era un confidare nel Signore e nella Mamma celeste, lungi dalla teologia, con fede e saggezza. Avevano ben capito i nostri vecchi che Dio è nella storia, che scruta i nostri cuori. Un Dio tenero e forte; discreto fino al rispetto della nostra libertà, cireneo nelle difficili salite della vita. Il Rosario aveva lo scopo di unire la famiglia patriarcale nella fede. Era un addormentarsi ed un risvegliarsi confidando nella Provvidenza, nonostante le tribolazioni e i sacrifici. All’improvviso una bavetta di vento fresco riporta una voce lontana. Quella dei nonni che ripete decisa “Recuperate il valore della recita del Santo Rosario, con costanza e determinazione. Rendetelo moderno… semmai… ma pregate!”

Ivana Fornesi