
Quarta domenica del tempo ordinario
(Sof 2,3; 3,12-13 Sal 145 1Cor 1,26-31 Mt 5,1-12)
Dopo le fasi iniziali della sua vita pubblica in Galilea, in cui Gesù ha annunciato: «convertitevi e credete al Vangelo, perché il Regno è vicino», e ha raccolto attorno a sé i primi seguaci, ora vuole consegnare a queste persone, e a noi, il suo “programma”. E non è un manifesto ideologico, come quelli che hanno avvelenato la convivenza civile negli ultimi due secoli.
Il Figlio è profondamente toccato dai mali delle persone. Sa guardare negli occhi chi ha di fronte, e che, come noi, si rivolge a lui con gemiti, invocazioni, lamenti…e domande senza risposta. Sale sul monte, il luogo delle rivelazioni di Dio fin dal tempo di Mosè, e parla. San Paolo, pur non avendolo ascoltato direttamente, capirà che non formula una nuova Legge, ma ci dona una Parola di Dio, nuova, anche se in continuità con quanto detto finora. Proclama il regno dello Spirito, che supera la Legge.
Il Regno dei cieli non è un luogo, ma una relazione con Dio, è essere suoi figli: figlio di Dio è chiunque soffra, figlio di Dio è chiunque eserciti misericordia, figlio di Dio è chiunque si impegni per la pace. È questo rapporto di figliolanza che noi cristiani dovremmo vivere sapientemente e consapevolmente, ma di cui, a causa del nostro egoismo, facciamo fatica ad essere all’altezza. L’esperienza del Regno di Dio possiamo farla quotidianamente, quando non permettiamo agli idoli, e ai poteri mondani, di regnare su di noi, quando facciamo sì che solo Dio e il Vangelo ci determinino.
Quando Dio regna in noi, il regno di Dio è venuto. È insidiato dalla nostra fragilità, e crolla quando neghiamo l’amore, ma può sempre rinascere, se lo vogliamo.
La parola “beati”, che Gesù usa, non è solo un aggettivo, è anche un invito alla felicità, alla gioia, che nulla, e nessuno, può spegnere. Vuol dire anche “benedetti”. Si riferisce al giorno del giudizio, ma, già da ora, fornisce un senso, una speranza gioiosa. La felicità si misurerà alla fine del percorso, perché durante il cammino, pur presente, è, a volte, contraddetta dalle prove, dalle sofferenze, dalla passione. È un invito ad andare avanti, una promessa certa. Indica uno stile da assumere, ci sollecita a cambiare l’ottica con la quale guardiamo la vita, la realtà, gli altri. In questa Parola c’è uno sviluppo circolare.
Chi al principio è povero e piange, è mite e ha fame, viene arricchito di doni, e reso partecipe delle difficoltà altrui. Raggiunge la misericordia, la purezza di intenzioni, e può operare attivamente in vista della pace e della giustizia, ma il tutto non si conclude con una garanzia di efficienza ed efficacia, ma con una predizione di persecuzione.
Chi abbraccia lo Spirito delle Beatitudini non lo fa per opposizione ad un nemico, ma per amore del mondo. Non riceviamo una promessa di pace statica, esente da prove e sofferenze, né tantomeno un’offerta di benessere mondano. Ma questa Parola ci offre la possibilità di sperimentare che ciò che siamo ha senso, e ci dà una ragione per cui vale la pena vivere.
Pierantonio e Davide Furfori