
Domenica 22 ottobre – XXIX del Tempo Ordinario
(Is 45,1-6; 1Ts 1,1-5; Mt 22,15-21)
A Gesù viene chiesto di prendere posizione con una risposta secca sulla questione del tributo imposto dai Romani quando la Giudea diventò provincia dell’impero. L’obbligo di pagare il tributo ricordava a Israele di non essere il primo popolo della terra, di essere suddito di una autorità diversa da quella di Dio, di essere privato della propria libertà religiosa e politica.
1. Maestro, sappiamo che sei veritiero. Farisei ed Erodiani si rivolgono a Gesù con una domanda-tranello, con un elogio gratuito e sperticato. Gesù però non si lascia cogliere di sorpresa, non si fida, perché sa bene che i complimenti sono come i funghi: i più belli sono i più velenosi. Pertanto si rivolge agli interlocutori chiamandoli “ipocriti”, e chiede loro di mostrare la moneta del tributo.
È chiaro che Gesù non aveva con sé la moneta, praticava la povertà realmente. Invece i suoi avversari facevano uso della moneta, perché tornava loro comodo; la portavano con sé anche nel recinto del tempio e non consideravano che l’immagine dell’imperatore offendeva la sacralità del luogo.
2. Rendete a Cesare. Di fronte alla domanda se è lecito “pagare” il tributo a Cesare, Gesù risponde con la parola “rendere”: rendere a ciascuno quello che gli appartiene. È troppo comodo rifiutarsi di pagare il tributo a Cesare e usare poi la sua moneta.
L’autorità, anche quando è rappresentata da persone indegne, garantisce l’ordine sociale voluto da Dio.
La risposta di Gesù ha una portata molto grande, perché separa il potere religioso dal potere politico; in nessuna religione è prevista questa separazione.
Lo Stato è laico per sua natura, è separato dalla religione e agisce in modo autonomo, però laicità o aconfessionalità non significano opposizione alla religione, ma riconoscimento che la sfera religiosa ha una valenza autonoma che va oltre il potere dello Stato.
Secondo la rivelazione biblica ogni uomo è sottoposto a un ordine molto più grande del potere politico.
3. Rendete a Dio. Pur riconoscendo la legittimità del tributo imperiale, Gesù dichiara che comunque l’obbedienza maggiore va tributata solo a Dio, perché l’uomo è proprietà di Dio in quanto porta in sé la sua immagine, e Dio pretende quello che è suo, cioè l’uomo nella sua totalità.
Gesù fa sua la dottrina del Primo Testamento e della cultura orientale in genere che considerava Dio padrone di tutto e l’uomo suo servo. L’uomo non costruisce da solo la sua personalità, come pretende di fare la filosofia stoica; se è lasciato solo con le sue forze diventa schiavo del peccato.
Sono liberi coloro che sono servi di Dio, e l’obbedienza prestata all’autorità è obbedienza prestata a Dio, è servizio reso a Dio.
Il considerare la libertà come mancanza totale di legami religiosi o sociali, favorisce il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legami e arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione.
† Alberto