
Domenica 26 febbraio, ottava del tempo ordinario
(Is 49,14-15 Sal 61 1Cor 4,1-5 Mt 6,24-34)
Dopo aver spiegato ai discepoli come debbano andare oltre la legge, arrivando ad amare il proprio nemico, Gesù previene le obiezioni che certamente vede già formarsi nello sguardo dei suo ascoltatori. Offrire l’altra guancia è contrario ad ogni buon senso, è la negazione dell’istinto primario, quello che permane anche in assenza di ogni legge, l’istinto di sopravvivenza. Lo stesso che, distorto, ci porta ad accumulare beni e ricchezze, giustificando noi stessi con lo spauracchio di eventuali tempi di magra, convinti di metterci in questo modo al sicuro dalla cattiva sorte.
Ma il Maestro già comincia lapidario: “Non potete servire Dio e la ricchezza”, l’accumulo, ad un certo punto, diventa -sempre- fine a se stesso, e si pone in diretta contrapposizione con l’imperativo del dono di sé che insegna Gesù. Rifiutare di donare al prossimo per paura di restare senza in futuro, non è previdenza, è egoismo. Ed un egoismo inutile: “Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?”, nessuno di noi ha il controllo pieno su cosa gli succederà, nemmeno possedendo tutta la ricchezza del mondo.
Non è però un monito fatalistico, Gesù non vuole ricordare ai discepoli che moriranno e che non possono farci niente. Anzi, è un messaggio di speranza: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.[…] Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.[…] Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?” Ciò di cui parlava il Maestro era molto più chiaro alla sua platea di allora, rispetto al nostro mondo moderno, ma è un concetto semplice: il Signore provvede, sempre.
Tutte le storture, tutte le ingiustizie, tutti i malanni del mondo di oggi sono riconducibili al fatto che l’umanità ha dimenticato questa semplice verità, e vive l’esistenza su questa terra come una costante competizione per le risorse, che non sembrano essere mai “abbastanza per tutti”, senza rendersi conto che il motivo non è una reale carenza, o peggio ancora il fatto che “siamo in troppi” (e quelli di troppo sono sempre gli altri), ma invece il nostro costante, vergognoso, e vergognosamente passato sotto silenzio, vivere al di sopra delle nostre possibilità, buttando via più cibo di quanto ne mangiamo, occupando più spazio di quanto ci serva e, in generale, professando e promuovendo una cultura del consumo e dell’accumulo sfrenato, incontentabile, dietro la quale emerge una profonda ansia per il futuro.
Qualora il parroco, durante la messa domenicale, ci interrogasse chiedendoci se riponiamo la nostra fiducia in Dio, o nella ricchezza materiale, tutti insieme risponderemmo dicendo: “Noi ci fidiamo di Dio! “.
Sarà vero? In realtà la nostra vita racconta un’altra storia. Non sono i beni che ci salvano dalla morte, dalla sofferenza, dal peccato: solo Gesù salva. Ma spesso lo capiamo solo dopo un crollo, una crisi economica, una difficoltà seria. Il Figlio rifiuta questa logica e questa cultura, invitando invece a una maggiore serenità, nell’abbandono fiducioso in Dio, che ogni giorno fornirà sempre ad ognuno il proprio pane quotidiano.
Pierantonio e Davide Furfori