Vedere cecità

Domenica 22 marzo, IV di Quaresima
(1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41)

12vangeloÈ una provocazione quell’uomo. Se ne sta seduto ai bordi della strada, cieco e mendicante e terribilmente vivo, così vivo da infilzare il nostro sguardo, così vivo da costringerci a una risposta, così vivo che fa male. Perché è così? Quale la sorgente perversa della sofferenza? La cecità apre gli occhi sulla voragine del senso del dolore. I discepoli ipotizzano la solita drammatica rassicurante ipotesi: espiazione di colpa ereditaria. A pensarci bene quella del peccato ereditario è un modo comodo di sistemare il mondo, al cieco è concesso l’onore del rancore verso i suoi genitori.
Gesù però no, non lo guarda così, lui, il cieco. Lui prima lo cerca e poi lo accarezza con gli occhi, e non parla di colpevoli, a Gesù non interessano mai i colpevoli. Gesù lo accoglie nello sguardo e sembra che gli accarezzi il dolore, poi si gira verso i discepoli e decide di dare voce a ciò che solo lui riesce a scorgere, a ciò che solo lui cerca, a ciò che solo lui vede: la luce. Quest’uomo, come ogni uomo, è vivo per manifestare la gloria di Dio. No, non perché di lì a poco sarà toccato da un miracolo ma perché è vivo e cammina e abita il giorno, spazio di possibilità prima che arrivi la notte.
Gesù guarda quell’uomo e non vede il frutto di una colpa ma la possibilità di una manifestazione. Che poi è l’unica cosa che conta davvero nella vita. Gesù non cerca colpevoli ma trova possibilità di umanità buona ovunque, anche dentro la sofferenza, anche dentro la malattia che comunque rimane dolorosa e che non sarà destino ultimo dell’uomo. Il Suo tocco sapiente e il fango baciato con passione sono la prova del suo essere dalla parte della luce. Ma non è quello il punto. Miracolo non è avere occhi aperti ma avere occhi che vedono, questo il punto. E se i discepoli vedono solo colpevoli significa che sono più ciechi del cieco. Vedere, vedere davvero, significa accogliere tutto il mondo e sentire che ogni angolo di Creato è chiamato a essere manifestazione delle opere del Padre.
Il miracolo rompe le apparenze e per molti sarebbe stato meglio lasciare tutto come prima. Il cieco non è più cieco e non mendica più, ora cammina e parla di Gesù. I suoi amici non lo riconoscono più. Perché qualcosa ha rotto la trama della realtà. Se non sei più cieco, se non sei più mendicante, chi sei? Ecco dove ci sta portando davvero Gesù. Il cieco nato, una volta incamminato verso Siloe, chi è? Non più cieco. Non più mendicante, chi è? Sembrano domande banali ma la domanda è seria e profonda, se riuscissimo a togliere tutte le visioni schematiche che gli altri hanno su di noi, se cadessero i ruoli e le apparenze, se cadessero le illusioni che vendiamo agli altri per farci accettare cosa resterebbe di noi? Chi siamo noi oltre al posto che il mondo ci ha assegnato?

don Alessandro Deho’