
Il Senato chiamato a decidere sull’autorizzazione a procedere contro l’ex ministro
L’ultima parola spetterà all’assemblea del Senato, ma ormai la giunta per le immunità di Palazzo Madama ha aperto la strada all’autorizzazione a procedere – avanzata dal “tribunale dei ministri” di Catania – “nei confronti di Matteo Salvini, nella sua qualità di ministro dell’Interno pro-tempore, per il reato di sequestro di persona aggravato”.
La vicenda è quella della nave della Guardia costiera italiana “Gregoretti”, bloccata con 131 migranti a bordo tra il 27 luglio e il 31 luglio 2019, prima di poter finalmente sbarcare nel porto di Augusta. Salvini dal canto suo ha rivendicato i fatti contestatigli, sostenendo di aver agito per “interesse nazionale”. Quanto è avvenuto è a dir poco surreale. Il presidente Gasparri (Fi) ha messo ai voti una relazione con cui si proponeva di negare l’autorizzazione a procedere. I commissari del suo partito e quelli di Fratelli d’Italia l’hanno sostenuta, mentre i leghisti – per ordine di Salvini – hanno votato a favore della autorizzazione; i commissari Pd e M5s non hanno partecipato alla seduta per protesta.
Per capirci qualcosa bisogna pensare alla campagna elettorale per Emilia-Romagna e Calabria: Salvini voleva giocare la carta della persecuzione politico-giudiziaria per propaganda e le forze di maggioranza volevano spuntargli quest’arma rinviando il voto della giunta a dopo le regionali. Le procedure costituzionali in vigore sono espresse dalla legge costituzionale n. 1 del 1989 che ha modificato l’articolo 96 della Costituzione stabilendo che “il presidente del Consiglio e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria”, previa autorizzazione del Parlamento.
È il cosiddetto “tribunale dei ministri”, composto di magistrati ordinari e costituito in ogni distretto di Corte d’Appello, che può disporre l’archiviazione o chiedere l’autorizzazione alla camera di appartenenza. Il meccanismo serve per evitare che ci sia un uso politico dello strumento giudiziario. E rimanda al principio della separazione dei poteri.
Lo spirito della normativa è quello di considerare la concessione dell’autorizzazione come l’ipotesi più naturale, salvo importanti eccezioni. Il Parlamento può negare il via libera solo con un voto a maggioranza assoluta e la richiesta può essere respinta solo se il ministro ha agito “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”.
La “ragion di Stato” può quindi essere invocata, ma con dei limiti. “Gli spazi della discrezionalità politica – ha sentenziato la Corte costituzionale – trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento… ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto”.