Cinquant’anni fa moriva in Venezuela il sacerdote che ha lasciato una traccia indelebile nell’Appennino. Una vita spesa a favore della sua gente
Belfort (PR): la canonica dove don Guido Anelli ospitava decine di partigiani
Belforte è un piccolo paese alto su uno sperone di roccia affacciato sul Taro, a pochi chilometri dal passo della Cisa. Qui la strada è arrivata solo alla metà degli anni Cinquanta: un isolamento finito troppo tardi e così, oggi, è una delle tante realtà che soffrono lo spopolamento dell’Appennino. Ma negli anni della guerra è stato uno dei centri della Resistenza; soprattutto è stato il paese di don Guido Anelli, il giovane sacerdote al primo incarico da parroco arrivato nell’aprile 1940 e del quale non si è persa la memoria. Anzi.
Ce lo conferma Mauro Giliotti, classe 1946 che a Belforte è rimasto: lui don Guido lo ha conosciuto bene perché era uno dei bambini (una quarantina!) che sessanta e più anni fa frequentavano i locali nei quali il parroco aveva organizzato una serie di attività sociali, primo fra tutti un “doposcuola” nel quale non solo si pensava ai compiti per il giorno dopo ma si studiava anche l’inglese e si imparava con assiduità. Già nell’autunno 1943 Belforte era uno dei luoghi più importanti nell’organizzazione delle bande di “ribelli” che nascevano spontanee in tutto l’Appennino.
Parroco a Belforte, missionario in Sudamerica
Dicembre 1944, la partenza della missione alleata che avrebbe paracadutato don Guido Anelli (primo da dx) sull’Appennino parmense
Guido Anelli era nato nel 1912 a Vigolone, nei pressi di Calestano, paese non lontano da Berceto, primo dei sei figli di Giovanni e Maria Ollari. Uno zio, Pietro Anelli era parroco proprio nella piccola località della val Baganza e anche il giovane Guido segue gli studi verso il sacerdozio: prima nel seminario di Berceto, poi in quello di Parma. Ordinato sacerdote nel 1937 viene inviato quale vicario cooperatore nella parrocchia di Collecchio dove, tra le altre cose, mette a frutto la sua grande passione per la musica, in particolare con la Corale Collecchiese che il giovane sacerdote riorganizza dopo anni di inattività.
A ricordare la figura di don Guido Anelli e a riannodare il filo della sua instancabile attività è stato, di recente, Giovanni Sassi nel libro “Il prete volante. Don Guido Anelli tra Belforte e Caracas” (Diabasis 2018, 16 euro).
Dopo l’esperienza a Collecchio don Guido riceve il primo incarico di parroco e viene inviato, nella primavera 1940, a Belforte: ha 28 anni, è cresciuto in una famiglia nella quale si parla di politica, ha conosciuto e frequentato Giuseppe Micheli e quando, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, l’Appennino vive la crisi sociale ed economica e la fame nonché la formazione delle prime “bande di ribelli”, il giovane parroco non ha dubbi e si schiera apertamente, trasformando Belforte e la canonica in uno dei centri della Resistenza.
Un’esperienza che lo segna profondamente e lo rende protagonista e punto di riferimento per un ampio territorio, dall’Appennino alla Pianura Padana. A guerra finita vorrebbe, per la gente della montagna, il riconoscimento dei sacrifici fatti e un risarcimento per il contributo dato. Deluso sceglie la via dell’emigrazione come tanti conterranei: in Venezuela trova di nuovo la sua dimensione. Fino alla morte avvenuta nel 1969 San José de Cazorla, località dove era parroco, lontana dalla capitale. Dal 1990 le sue spoglie riposano nel cimitero di Langhirano. (p. biss.)
Il cippo che a Belforte ricorda i sacerdoti partigiani don Guido Anelli e don Aurelio Giussani
Qui, nella canonica di don Guido, i militari in fuga dopo il disfacimento dell’esercito e i giovani renitenti alla chiamata di Salò trovavano ospitalità. A decine. Per loro, per la gente del paese, per il parroco furono venti mesi di vita nel pericolo di essere scoperti. E anche se Belforte era disagiato e seminascosto, i tedeschi arrivavano anche qui, provocando la fuga rocambolesca e a rotta di collo dei tanti giovani clandestini e di quanti li aiutavano. L’attività di don Guido si concentrava sul sostegno alla gente del paese oltre che dei partigiani. Nell’ultimo, terribile, inverno di guerra la popolazione era stremata, senza possibilità di sostentamento. E per i partigiani non era diverso.
E don Guido non stette con le mani in mano: lungo i sentieri di montagna di Appennino e Alpi Apuane attraversò il fronte della Linea Gotica e arrivò a Roma (liberata nel giugno 1944) dove venne ricevuto sia dal Governo Italiano che dal Vaticano e ottenne una importante somma di denaro per la “sua” gente, alla quale aveva promesso che sarebbe stato di ritorno entro Natale.
Per abbreviare un viaggio che avrebbe richiesto settimane fu organizzata una missione aerea: don Guido (che non era mai salito su un aereo) e alcuni militari alleati vennero paracadutati nella zona di Bardi dove si era riorganizzato il Comando Unico – dopo il rastrellamento di Bosco di Corniglio – al quale consegnò il sacco con i 13 milioni di lire che sarebbero stati spesi per sfamare la popolazione e i partigiani. La sera del 23 dicembre era di nuovo a Belforte, paese che avrebbe lasciato solo nel 1955 per il Sudamerica.
Dopo gli intensi quanto drammatici ultimi mesi di guerra, gli anni che seguirono furono infatti difficili e pieni di amarezza, soprattutto per lo scarso (per non dire nullo) riconoscimento alla gente della montagna che anzi veniva “depredata” anche delle poche risorse rimaste come ad esempio il legname dei boschi.
La missione in Venezuela dove tanti conterranei erano emigrati e dove lo seguiranno anche alcuni familiari (morti poi tragicamente a causa del terremoto di Caracas del 1967), regalò nuovo slancio e nuovi obiettivi al parroco, nonostante le non poche difficoltà e i contrasti anche con le autorità ecclesiastiche locali.