
Domenica 28 aprile. II di Pasqua
(At 5,12-16; Ap 1,9-11.12-13.17-19; Gv 20,19-31)
L’evangelista Giovanni ci presenta una nuova creazione che avviene nel giorno della resurrezione di Gesù: il primo della settimana. Nuova creazione con nuova umanità che viene generata grazie all’alito del Risorto che infonde lo Spirito. Gesù si fa presente nel chiuso di una casa e nella disperazione dei cuori presenti. In mezzo, per essere vicino ad ognuno, e per potere porgere la propria pace, unica necessità alla felicità dell’uomo. La pace, secondo l’usanza ebraica, doveva essere anche accompagnata da un dono.
Il Cristo mostra i segni sulle mani e sui piedi, testimonianza del dono totale di sé. Ora propone la missione: il Padre ha mandato me, io mando voi. Per questo vi dono lo spirito e, con questo, vi faccio uomini nuovi capaci di andare in mezzo agli altri uomini e cancellare il peccato a coloro che vi accolgono.
A questo incontro mancava Tommaso. Due biblisti leggono l’evento in maniera diversa. Il primo ci propone il soprannome dell’apostolo: “didimo”, che significa gemello, come simbolo del fatto che , come gemello di Tommaso, ognuno di noi fa fatica a credere alla resurrezione.
Tommaso, subito dopo la morte di Gesù, si era allontanato dalla comunità, forse considerava fallita quella esperienza di vita, e soltanto qualche tempo dopo era ritornato e così aveva potuto incontrare il Signore Gesù e fare la sua perfetta professione di fede riconoscendo Dio in Gesù. L’altro biblista propone Tommaso come “gemello” del pensiero di Gesù. Era stato infatti l’unico a comprendere l’evento della risurrezione di Lazzaro ed aveva spinto gli altri a seguire Gesù: in effetti aveva detto “andiamo a morire con lui.”
Se non era con gli altri al momento del farsi presente del Risorto, non era perché li aveva abbandonati ma perché era l’unico abbastanza coraggioso per andare fuori casa, allo scoperto, mentre ancora tutti i seguaci del Nazareno erano ricercati per essere catturati dalle autorità sia civili che religiose.
La sua titubanza ad accogliere la testimonianza degli altri, circa la risurrezione del Maestro, non era mancanza di fede ma il trovarsi di fronte ad una notizia così bella da sembrargli quasi impossibile. Che fosse quello che ha compreso per primo, o quello che ha faticato più di tutti gli altri ad entrare nel concetto di resurrezione, certo è colui che ha permesso a Gesù di pronunciare l’ultima beatitudine che è rivolta a noi: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
E poi, conclude l’evangelista, Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. È un invito che l’evangelista fa: scrivete il vostro libro, scrivete il vostro vangelo, noi vi trasmettiamo la nostra esperienza, voi fatela vostra e poi scrivete il vostro vangelo. Ma questi segni fatti dal Maestro sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. La fede in Gesù dona una vita di una qualità tale da superare la morte.
Pier Angelo Sordi