Migrazioni, Costituzione e cristiani. L’altro non è una minaccia

Una presa di posizione di don Virginio Colmegna sul Decreto sicurezza

don Virginio Colmegna
don Virginio Colmegna

Alcuni recenti provvedimenti normativi, a cominciare dal cosiddetto “Decreto sicurezza”, poi convertito in legge dal Parlamento, sono stati ampiamente criticati da chi si schiera dalla parte dell’accoglienza, della solidarietà e del rispetto dei diritti e della dignità di ogni essere umano. Dichiaro subito la mia appartenenza a questo fronte. Tutte le volte che sono stato interpellato ho sempre detto: “Prima le persone”. Non per coniare uno slogan da contrapporre ad altri, né come forma di galateo o di buonismo. “Prima le persone” è un principio che, nella sua semplicità, traduce i principi della nostra Costituzione. Per fronteggiare esclusione, egoismi e respingimenti più che parlare di “disobbedienza civile”, occorrerebbe affermare “obbedienza” ai valori della Carta costituzionale. Per me, come cristiano, quegli stessi valori hanno sorgente nel Vangelo.
Così inizia l’intervento di don Virginio Colmegna, già presidente della Caritas ambrosiana e dal 2002 presidente della Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani” di Milano, nell’ultimo numero del mensile “Vita Pastorale”.
Dopo aver ricordato che le persone non sono numeri, ma volti, storie, sguardi e che la vita di una persona va al di là del luogo di nascita: ha dentro di sé una dimensione universalistica che ci fa essere tutti figli di Dio. E, per questo, fratelli, don Colmegna, citando le parole di Papa Francesco, sottolinea la necessità di un “cambiamento di mentalità”: “Occorre passare dal considerare l’altro come una minaccia alla nostra comodità allo stimarlo come qualcuno che, con la sua esperienza di vita e i suoi valori, può apportare molto e contribuire alla ricchezza della nostra società”. Quanti sono sfollati a causa di conflitti, disastri naturali e persecuzioni. Tutti costoro sperano che abbiamo il coraggio di abbattere il muro di quella complicità comoda e muta che aggrava la loro situazione di abbandono e che poniamo su di loro la nostra attenzione, la nostra compassione e la nostra dedizione”.
Il fenomeno della migrazione è complesso e sfaccettato, per questo motivo deve essere governato con misure che non calpestino il nostro senso di umanità (salvando, ad esempio, la vita di chi rischia di naufragare), né sviliscano le tante esperienze positive di accoglienza e integrazione che, in questi anni un po’ ovunque, abbiamo visto realizzarsi concretamente. E aggiunge che nella grande maggioranza dei casi chi opera nell’accoglienza, lavora bene e produce effetti positivi per tutta la comunità. In riferimento alle tante dichiarazioni di politici contrari ad ogni forma di accoglienza, don Colmegna ricorda che parlare di “fine della pacchia”, “basta mangiatoia”, “business delle cooperative”, offende chi si impegna a irrorare di fraternità, pace e coesione la nostra società. C’è una moltitudine di persone che si adopera per il prossimo, al di là del ritorno economico comunque indispensabile, laddove sono in campo professionalità e competenze. Guardando alle nuove generazioni, afferma che questo clima di degrado dei valori di umanità e fraternità rischia di trasmettere ai nostri ragazzi un’idea di società e degli ideali di convivenza civile che, di fatto rinnegano sia la Costituzione che il Vangelo: non un simbolo, quest’ultimo, da agitare per segnare l’appartenenza a una fazione, ma che va semplicemente letto per poi lasciarsi interpellare dalla Parola in esso contenuta.