La mia bocca, Signore Gesù, racconterà la tua salvezza

Domenica 3 febbraio, IV del Tempo Ordinario
(Ger 1,4-5.17-19; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30)

04vangeloSiamo sempre nella sinagoga di Nazaret. Gesù è all’inizio della sua predicazione in Galilea. Ha appena letto il brano di Isaia che parla di liberazione, e ne dà una sintetica spiegazione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». “Come ha parlato bene!”. Applausi.
Gli ascoltatori sono colpiti, ha suscitato meraviglia. Sembra che la predicazione nel suo villaggio sia stata un successo. Ma subito dopo cominciano le riserve: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». “Chi si crede di essere? L’abbiamo visto crescere, ora vuole insegnarci, e magari comandare.”
Lui non ha chiesto nulla, non ha parlato del suo ruolo messianico. Ha solo spiegato la parola del profeta Isaia in modo originale, suggerendo che la liberazione è giunta. Ma l’entusiasmo e la meraviglia si interrompono, perché i presenti non si accontentano di parole: per riconoscergli qualche autorità, pretendono miracoli. È l’atteggiamento che tengono gli uomini apparentemente religiosi quando intendono rifiutare Dio.
Lui nota il repentino cambiamento di umore. Si rincresce, perché i pii ebrei del suo villaggio non vogliono comprendere la Parola. Ma non risponde con ira. Usa parole miti. Premette un solenne “amen” e pronuncia una sentenza lapidaria. «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria».
C’è differenza nella risposta tra Nazaret, la Sua patria, e Cafarnao. Là incontrerà molti non ebrei, immersi in una fede che in Israele non percepisce. A motivo di questa fede sarà più facile per Lui rendere la sua testimonianza negli scandalosi villaggi stranieri, piuttosto che in quelli del Suo popolo. «Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
Cita due miracoli dei grandi profeti del passato, compiuti a vantaggio di persone estranee al popolo di Israele. Spiega che Dio è per tutte le nazioni. E che i gesti di guarigione non possono essere separati dalla liberazione che nasce dalla Parola. Il profeta non compie necessariamente prodigi, ma dice la Parola del Signore, invita alla conversione a Lui, ne annunzia il perdono e chiama tutti al rispetto della Sua volontà. Non ci sono più una terra sacra e una profana.
C’è un’offerta di salvezza che d’ora in avanti sarà rivolta a tutti. Il Dio di Gesù ama i pagani, perché ha nostalgia di loro, che durante i secoli sono rimasti lontani da lui. I suoi ascoltatori si risentono ulteriormente. Avrebbero voluto che compisse davanti a loro i prodigi di cui hanno sentito parlare. Vorrebbero possedere per sé ciò che fa, vorrebbero averne il monopolio. “Quando è troppo è troppo! Cacciamolo fuori dalla Sinagoga e dalla città”.
Addirittura qualcuno vorrebbe ucciderlo gettandolo da un dirupo. Ma non era quello il momento di essere ucciso.“Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Ieri come oggi, Gesù passa, ma noi non ce ne accorgiamo. Passa in mezzo alla sua Chiesa e va oltre, tra i pagani che ama. Riprende il cammino, simbolico e reale, verso Gerusalemme.
Le sue parole, pur piene di grazie, non sono state accolte, perché i suoi concittadini non riconoscono la sua autorevolezza. Ma questa non è una sconfitta. Lui porta con sé la serena certezza di svolgere il suo compito, nel nome del Signore. Non agisce per interesse personale, obbedisce ad una vocazione e ad una missione più forti della propria insicurezza e dei propri desideri umani. Questo è l’atteggiamento degli uomini di Dio e dovrebbe essere anche il nostro.

Pierantonio e Davide Furfori