Polemiche pretestuose dopo l’invito di Francesco ai paesi in guerra a negoziare. Intanto, di fronte a migliaia di morti, l’industria delle armi va a gonfie vele
C’era bisogno di creare un po’ di confusione nel mondo della diplomazia internazionale, preoccupato di tutto tranne che di parlare di pace. In un’intervista alla Radio Televisione Svizzera un giornalista chiede a Papa Francesco: “In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa della bandiera bianca, ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte, cosa pensa?”.
La risposta è chiara, per chi non ha secondi fini: “È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali… La parola negoziare è una parola coraggiosa… Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo prima che la cosa sia peggiore”.
I primi a scandalizzarsi e a chiedere che il Papa non metta sullo stesso piano aggressori e aggrediti sono stati gli ucraini. “L’Ucraina è ferita ma imbattuta. L’Ucraina è esausta, ma resta in piedi. In Ucraina nessuno ha la possibilità di arrendersi! E tutti quelli che guardano con scetticismo alla nostra capacità di stare in piedi, diciamo: venite in Ucraina e vedrete!”, ha detto il Capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk.
Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba scrive un post su X: “La nostra bandiera è gialla e blu. Questa è la bandiera con la quale viviamo, moriamo e vinciamo. Non alzeremo mai altre bandiere”.
Oles Horodetskyy, presidente dell’Associazione cristiana degli ucraini in Italia scrive che “alla richiesta di arrenderci del boia del Cremlino rispondiamo con la resistenza. Per un cristiano è inaccettabile arrendersi al male e al peccato che rappresenta oggi la Russia di Vladimir Putin. Difendere la propria vita e la propria casa è un dovere sacrosanto di ogni cittadino”.
“Proprio in questo momento difficile – ha proseguito Horodetskyy – quando gli aiuti americani sono bloccati e l’Ucraina rischia di rimanere isolata e in balia dell’aggressore, sentire dal Papa questi infelici appelli è fortemente deludente. L’Ucraina non è stata sconfitta e non abbiamo visto alcuna volontà di arrendersi da parte del nostro popolo”.
In realtà Papa Francesco non ha parlato affatto di resa, ha parlato della gravità della situazione, di una guerra che non sta dando i risultati attesi, che si consuma metro per metro seminando morti, feriti, distruzione.
Lo stesso Horodetskyy vede le difficoltà crescenti della solidarietà internazionale richiamando il rischio dell’isolamento e quindi di cadere in balia di un nemico senza scrupoli.
“Bandiera bianca” non significa soltanto resa senza condizioni, significa anche richiesta di tregua, di cessate il fuoco, di richiesta di negoziazione: quello che ha detto il Papa. La drammaticità della situazione è evidente anche dall’appello del ministro degli Esteri ucraino Kuleba a Vilnius nei giorni corsi quando chiede una fornitura di armi “illimitata e tempestiva” per consentire all’Ucraina di battere la Russia ed evitare che la guerra si espanda in tutta Europa.
“Siamo estremamente grati per quello che avete fatto per l’Ucraina. Ma la strategia di far arrivare gli aiuti all’Ucraina goccia a goccia non funziona più”.
Ma c’è anche un’altra denuncia. Kiev ha dichiarato di non aver ricevuto ben 16 miliardi di euro di proventi derivanti da due conferenze di donatori tenutesi in Polonia nel 2022, all’alba dell’invasione russa. I due eventi del 2022 avevano raccolto rispettivamente 10 miliardi e 6 miliardi di euro, ha specificato il primo ministro ucraino Shmygal. “L’Ucraina non ha ricevuto nulla. I fondi sono stati raccolti dalla Polonia insieme alla Commissione Ue per sostenere il nostro Paese. Dove sono andati a finire?”.
Di buone intenzioni è lastricato l’inferno. La difficoltà nel mantenere le promesse è data anche dalle difficoltà economiche che attanagliano i vari Paesi. Le elezioni stanno diventando un incubo, quelle europee in attesa di nuovi assetti di coalizione, quelle Usa dominate dallo spauracchio Trump che lascerebbe volentieri la patata bollente Ucraina nelle mani di una Europa poco sicura sul piano militare. Tutte le dichiarazioni sono comunque a sostegno bellico dell’Ucraina e perfino le parole “pace” e “negoziazione” diventano parolacce da evitare. Intanto, secondo una stima dell’intelligence della Nato, l’economia di guerra in atto in Russia funziona.
Al momento il comparto militare di Mosca sforna 250.000 munizioni di artiglieria al mese, tre milioni l’anno, mentre la capacità di produzione di Usa e Ue è di 1,2 milioni l’anno da inviare a Kiev.
Questo significa che i russi sparano 10.000 proiettili di artiglieria al giorno, gli ucraini 2.000. La Russia sta arrivando a produrre il triplo delle munizioni prodotte dagli occidentali. Ci sono anche intrighi internazionali coi quali vengono aggirate le sanzioni, per cui sono gli stessi Paesi Nato a fornire strumentazioni per l’approvvigionamento bellico russo attraverso i vari contractor che fanno affari d’oro vendendo tecnologia ai Paesi medio asiatici, Armenia, Kazakistan, Uzbekistan.
L’industria delle armi va a gonfie vele. Gli ambienti diplomatici hanno catalogato come imbarazzante la sortita della andrebbero dimenticati tutti i tentativi fatti da Papa Francesco, tra i tanti anche quelli per messo del card. Zuppi.
Forse le sue non sono state parole “dal sen fuggite”, forse erano intenzionali di fronte ad una opinione pubblica “distratta” dalla strage di Gaza, e nel pantano della diplomazia. In questa situazione gettare un sasso nello stagno ricordando che la pace è possibile e che la pace si fa con i nemici, può essere salutare.
Giovanni Barbieri