Il Giorno della Memoria
Schiavi di Hitler di Mimmo Franzinelli (Mondadori 2023, 432 pagg. 25 euro) è l’opera che può dare sostanza e profondità alla memoria delle disumane deportazioni nei lager nazisti. A lungo ignorato, il dramma di militari e civili catturati e ammassati in squallide baracche ha una importanza storica non trascurabile.
L’Italia libera, infatti, è nata dalla Resistenza armata e dalla Resistenza senz’armi combattuta nei campi di concentramento. Nel libro di Franzinelli grande spazio è dedicato naturalmente a diari, lettere e testimonianze di chi ha vissuto un’esperienza indicibile: pagine di violenze, angosce, stragi ad oggi sconosciute (cap. XIX e XX).
Chi legge prova un atteggiamento compassionevole e di sdegno. Ma l’approccio non può essere solo “pietistico”. La ricostruzione storica è la cornice in cui la documentazione acquista valore. C’è da capire come, dopo il disastroso armistizio (I–IV), si sia scatenata la furia nazista dell’odio e del disprezzo.
Il piano del Reich era di deportare in Germania centinaia di migliaia di prede da usare nelle fabbriche come forza lavoro in sostituzione di giovani tedeschi chiamati alle armi. Dall’Italia e dagli altri teatri di guerra arrivano, spogliati di tutto, schiavi senza nome e senza diritti, privati delle garanzie scritte nella Convenzione di Ginevra (1929), sottratti all’aiuto della Croce Rossa, a stento raggiungibili dalla Segreteria di Stato della Santa Sede. Rari pacchi inviati da parenti oltrepassano barriere impenetrabili.
Identità cancellate. Situazione giuridica stravolta. Abbandonati al loro destino dal governo Badoglio e considerati ex nemici dagli Alleati, agli “ospiti” dei lager non viene riconosciuto lo status di prigionieri. Per Hitler sono internati, termine ambiguo (V) voluto per disporre liberamente di una massa enorme di “soldati del Duce”, da trattare come traditori.
La Convenzione dell’Aja (1907) stabilisce che uno stato neutrale dia rifugio a militari e disertori che temono la cattura, riconoscendo loro lo status di internati. La richiesta di protezione deve essere volontaria.
L’internamento deciso da Hitler è invece coatto e ha lo scopo distruttivo di usare braccia umane per lavori pesanti e degradanti. Nei lager gli schiavi dovranno lottare contro freddo, fame e malattie, ma anche contro le subdole lusinghe di emissari della Repubblica di Salò.
Solo una minoranza cede. 650.000 resistono ai ricatti, alle vendette, alle umilianti costrizioni (XIV). Ciò significa che in giovani educati all’ubbidienza e alla fede nel fascio, matura la consapevolezza dell’inganno subito e della follia della tragica alleanza col nazismo.
La “pedagogia” mussoliniana fallisce miseramente. Nella desolazione delle baracche, nelle marce forzate (terribili quelle della morte), nei luoghi del lavoro coatto, mette radici, in chi non viene travolto, un nuovo senso di dignità e di umanità. E soprattutto il proposito di consegnare alle generazioni future un’Italia diversa.
La vita del reduce, pur nella partecipazione di tanti alla attività politica del dopoguerra, rimarrà segnata dall’esperienza del lager. Il ritorno a casa è motivo di sollievo, ma pure di amarezza nel vedere gli aguzzini impuniti (XXI) e il proprio sacrificio non riconosciuto (XVII e XVIII).
Politica e burocrazia purtroppo hanno tentato di congelare la memoria di lutti e sofferenze (XXII): i motivi sono esaminati nell’ultima parte del libro. Oggi è bene ripetere che non c’è futuro dignitoso se si cancella la memoria del passato.
Pierangelo Lecchini