
Se ne è parlato a Scorcetoli domenica scorsa su iniziativa del gruppo di Ponticello. Lo strumento per le cialde è stato regalato dal forno Martinelli di Viareggio, quello per ostie è stato donato dalla famiglia in memoria di Germano Cavalli
A Scorcetoli un paese si è riunito in festa al pranzo del “roncadore” nei locali della parrocchia domenica 3 dicembre. Concluso, dopo l’omaggio di calde croccanti mondine, il gruppo di Ponticello, che da anni fa rivivere arti e mestieri del passato, ha dato spazio alla conferenza su strumenti antichi inventati per fare cialde e ostie.
Due esemplari sono stati messi in vista; un ferro per cialde del paese di Ponticello non è stato più trovato, ha supplito prima uno trovato a Grondola e poi è venuto il dono da Antonella Pisani di Viareggio parente dei pasticceri Ennio e Giovanni Martinelli. Il ferro per ostie eucaristiche è stato donato dalla famiglia di Germano Cavalli, di cui con commozione Alessandro Martinelli, conduttore della festa, ha fatto sentire la voce registrata con parole di speciale plauso alle serate culturali del paese di Ponticello che da trent’anni studia l’antico e divulga il sapere del mondo contadino per conservare e trasmettere agli altri. Erano presenti la moglie Bruna e la figlia Germana vivamente ringraziate.
Una relazione di Paolo Lapi ha richiamato diverse regole e segni nella produzione delle ostie eucaristiche: erano per utenti sinodali, obbligo di esserne dotate le parrocchie. Prima della scismatica disputa sulla Eucarestia provocata da Lutero che nega che il pane e il vino siano per transustanziazione il corpo di Cristo, le ostie erano fatte come “oblata eucaristica”, un’offerta; dopo si intende ostia come vittima sacrificale quale si è offerto Gesù per salvare l’umanità.
Si legge nel 1702 il libro in latino “Sulle offerte eucaristiche che si dicono ostie” e riporta stampe con varie raffigurazioni cristologiche da fare con “ferro oblatorio”. L’ostia-corpo di Cristo, è sacra, deve essere di frumento, azima per evitare fermentazione, sottile, immacolata ossia pura senza alcuna traccia di altre sostanze, così come il vino.
Dal sacro al profano ha portato l’intervento di Rolando Paladini, dotto di storia e dottrina culinaria: ha parlato di cialde dolci, si fanno col ferro a forbice da stringere e devono essere azime, sottili perché la loro caratteristica distintiva è la crocantezza. Si preparano da tempi antichi secondo usi diversi nei territori.
Sappiamo che Lorenzo il Magnifico era goloso di cialde che lui chiama zalde e zaldoni e dedica anche una sfiziosa poesia. Al Museo del Bargello a Firenze è esposto uno stampo di cialda coi due papi Medici, Leone X e Clemente VII. A Montecatini dal 1936 un cialdolaio le fa rotolate a cono.
Per fare le cialde senza sbagliare questo il dosaggio degli ingredienti: 6 uova, 500 gr. di zucchero, 1.200 gr. di farina, 150 gr. di rosolio, di anice, burro. Fare l’impasto e tirarlo in sottilissima sfoglia, tagliata a rettangoli, va stesa sottilissima sui ferri da cialde e passata in forno per pochi minuti.
Pellegrino Artusi nella sua storia della cucina parla dei brigidini di Lamporecchio fatti come cialde da ostie ma un po’ alterate, composti dalle monache brigidine, suore fondate nel 1372 da Santa Brigida. Rimane incerto se i wafer quadrati sono fatti con ferro da cialde.
Interventi di saluto hanno sottolineato la buona riuscita della giornata: il parroco don Mario Arenare ha richiamato la sua recente conferenza a Pontremoli sulle edizioni bodoniane della Biblioteca del Seminario in affinità valoriale con l’impegno di nostri paesi a conservare le tradizioni per fare nuova la storia: e non è un paradosso.
Anche la sindaca di Filattiera ha dimostrato l’interesse delle istituzioni regionali verso tutte le iniziative di ricerca storica locale; per Pontremoli e Filattiera la Regione ha riconosciuto l’impegno di ricerca storica, quale l’inaugurazione della via dei monti da Pontremoli a Levanto passando da Zeri e val di Vara in collegamento con la Francigena, che attraversava anche Ponticello.
Col grazie sincero del presidente del gruppo o, meglio, del paese di Ponticello si sono spente le luci.
Maria Luisa Simoncelli