Ricordi di vita di un’insegnante nella Pontremoli degli anni Trenta

“Pontremoli era una cittadina di provincia adagiata come una bella donna pigra e sonnolenta ai piedi di una catena di montagne qualche volta innevate”. Elda Giovanoli Simonett, nata a Bondo (CH) nel 1924, racconta in Ricordi di vita di un’insegnante “per vocazione” la Pontremoli degli anni Trenta.
Vi era emigrata con la famiglia: il padre lavorava al caffè degli Svizzeri, dagli Aichta, anch’essi della Val Bregaglia, come gli Scartazzini a La Spezia e altri rinomati pasticcieri operanti fra Toscana e Liguria.
A Pontremoli Elda frequenta l’asilo, poi la scuola della maestra Pina “grassotella, ma non tozza”, ammirata per bontà e autorevolezza. Elda, vivace e indisciplinata, decide che anche lei sarà maestra. Nel 1942 otterrà il diploma all’istituto Malaspina. Agli anni delle magistrali il libro dedica grande spazio.
Dalla predisposizione ad osservare difetti fisici, manie, atteggiamenti ridicoli, nascono i ritratti degli insegnanti. Quello di fisica vestito di nero come un topo e la prof. di francese sempre in abiti di seta. Bombolo era il docente di musica: Nasone, quello di latino. Chi sta in cattedra non sfugge alla benevola ilarità di adolescenti che si affacciano alla vita.
L’atteggiamento di Elda non è irriverente. L’insegnante di italiano è apprezzato per la vasta cultura: competenza e sapere di chi cerca di far amare le scienze sono lodevoli, ma, ahimé, la prof. di francese non sa bene la lingua.

Il Duomo di Pontremoli in una foto dei primi anni del Novecento

La serietà è riconosciuta, ma Elda manifesta già una personalità refrattaria all’ossequio e al conformismo. Nella vita di ogni giorno agli occhi di Elda appaiono ridicoli i riti di un regime sfacciato e invadente. Tutto deve essere fascista: il saluto, la befana, il sabato. I raduni per ascoltare i discorsi del duce sono ben accetti se si perdono ore di lezione.
Ma è umiliante la becera arroganza di fascistelli che dagli “Svizzeri” ogni volta ricordano al padre che presto sarebbero arrivati al Maloggia: “mangeremo la cioccolata svizzera”. Bisognava tacere, tanto più se si era stranieri.
Elda però non perde la sua vivacità. Il libro è ricco di aneddoti. L’adolescenza è insofferente alle imposizioni, ma è anche l’età degli svaghi e del primo amore. Il racconto degli appuntamenti trasgressivi sotto i platani della “strà neva”, è sempre venato di ironia. Sorridente comprensione invece verso personaggi bizzarri, emarginati senza dimora che sotto il fascismo sono gli unici a vivere in libertà e a dire quello che pensano.
Il Veroni, libero pensatore amante del fiasco, vende cipria fatta con farina di castagne e inchiostro di bacche. La Maria del Mezdì, la Teresina dei baracun (la donna cannone), la matta Bettina vestita di cenci come all’epoca dell’incontro con il ferroviere che, solo nella fantasia, sarà suo marito. (Pierangelo Lecchini)

Gli articoli del torinese Ermanno Traversa:
piccolo mondo pontremolese

“Piccolo mondo pontremolese’ fu una rubrica del quotidiano “La Nazione” con articoli di ErmannoTraversa, un torinese con cattedra all’istituto “Malaspina”che si ritrovò in tempo di guerra nella “piccola ma industre città” di Pontremoli.
La sente come una terra romantica e crepuscolare, come tutta la Lunigiana, vive di cose all’apparenza morte e invece hanno anima, memoria. Alla sera la fatica dei giorni è redenta dalla gioia delle persone che si guardano in faccia all’ombra del Campanone nella consuetudine un po’ provinciale del passeggio.
Richiama la ruggine dei secoli il castello del Piagnaro. In Verdeno arrivava l’espansione con nuove case attorno alle isolate costruzioni dell’Istituto Cabrini, del Liceo Vescovile, dell’Istituto Magistrale, del carcere e di poche ville in stile liberty. Musica in piazza offerta da lungo tempo dalla banda, le piazze brulicano di voci nei giorni di mercato e nelle fiere.
Una lode va alla Misericordia nata in tempi lontani per “attestare l’unione delle anime sensibili di fronte alle sventure degli altri”. Viene contrapposta “l’indolenza mercenaria dei servizi funebri cittadini” con gli incappucciati che nel raccoglimento della buona morte portano a meditare sulle cose più alte.
Pontremoli sapeva accogliere i miserabili come Richetto Veroni, che rivestiva “la sua lacera miseria di gioia bacchica che traluceva dai suoi occhi buoni”, così anche Bettina, una macchietta ridicola e preziosa dagli occhi dolci e straniti. Venne l’ora di tornare alle strade rumorose di Torino con nostalgia della campagna e della vista dei monti, delle poche amicizie, del dono della pace dello spirito trovato nella piccola città. (m.l.s.)