Domenica 1 ottobre – XXVI del tempo ordinario
(Ez 18,25-28; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32)
Il brano di vangelo oggi proposto presenta una scena che è abituale in tutte le nostre famiglie: la difficoltà per i genitori di farsi ubbidire dai figli. Di fronte all’invito: “Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna”, il primo dice di no, poi si ravvede e va a lavorare; il secondo, che è sempre più coccolato e quindi più complimentoso, dice di sì, però poi non ci va.
1. Che ve ne pare? Uno dei figli risponde male al padre, l’altro lo delude. Il brano del vangelo non ci dice quale sia stata la reazione del padre, ma anche lui, come il padre del figlio prodigo, si rivela un fallito nell’educazione dei figli. Entrambi i padri (e anche le madri) soffrono in silenzio e aspettano: dove non ha avuto buon esito l’educazione, riesce la pazienza e la misericordia.
Il compito dei genitori non è quello di generare il figlio perfetto, ma accompagnarlo fino alla maturità, alla piena realizzazione di se stesso, alla conquista della propria libertà. Questo avviene con l’amore gratuito, perché come dice Paul Claudel: “L’amore del padre non è da restituire e il figlio non ha bisogno di guadagnarselo o di restituirlo”.
2. Rispose: non ne ho voglia. Di fronte all’invito di lavoro familiare, quindi non stipendiato, la prima risposta, la più spontanea, è quella di dire: “No, non ne ho voglia”. Chi però ha l’abitudine di mettersi in discussione, come il figlio maggiore, dopo la prima reazione negativa riflette e asseconda la volontà del padre.
Chi può scrutare che cosa passa nel cuore di ogni uomo? Come nella frutta, la bontà del prodotto non sempre corrisponde all’aspetto esteriore, e sotto una scorza dura spesso c’è una polpa tenera.
3. I pubblicani vi precedono. Per comprendere la portata dei racconti evangelici, dobbiamo accoglierli non come la descrizione di un’epoca storica, ma come esempi positivi o negativi di comportamento.
Ogni pagina di Vangelo, quando viene proclamata nella liturgia, riguarda ciascuno di noi, e Giudei o Gentili, farisei o pubblicani, ci interessano solo nella misura in cui sono esempi negativi di comportamento.
Persone religiose solo in apparenza, che non hanno la capacità di mettersi in discussione, che sono sicure di non sbagliare mai, non appartengono al Regno di Dio. Invece le persone che esteriormente possono essere in errore, ma che riescono a scorgere il proprio contegno sbagliato e si convertono, queste appartengono al Regno di Dio. La parabola è un invito a deporre la falsa sicurezza interiore e un incitamento a mettersi ogni giorno in discussione in vista della conversione.
Quando tutto esteriormente sembra in ordine, quando pensiamo di essere noi soli sulla strada giusta e guardiamo gli altri dall’alto in basso perché li riteniamo immersi in un mondo di peccatori, allora è il caso di porsi degli interrogativi: nessuno è confermato in grazia, anche l’elezione divina si può perdere.
† Alberto