Sono in aumento “i viaggi della speranza” e continua a crescere il numero dei morti per i naufragi
Si sono di nuovo spenti i riflettori che la settimana scorsa, in occasione della riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, erano stati puntati sul tema dell’emigrazione. Un argomento enfatizzato dalla politica e dai mezzi di informazione italiani ma per il quale si è avuta la conferma che esso non sia ai primi posti tra le priorità dei leader europei.
Niente di concreto né, tanto meno, di nuovo sui ricollocamenti né sulla presa in carico del problema al fine di non lasciare soli i Paesi più esposti al fenomeno (tra questi l’Italia per quello che riguarda gli arrivi via mare); nessuna volontà di aggiornare il regolamento di Dublino con la redazione di un nuovo Patto per la migrazione.
Non cessano, invece, i viaggi della disperazione che, nella migliore delle ipotesi, portano a salvataggi o sbarchi fortunosi ma spesso si concludono con le tragedie segnate dai naufragi che, avvenendo il più delle volte lontano dalle coste, non urtano più di tanto la nostra sensibilità.
Al 21 marzo – dati del Ministero degli Interni – erano poco più di 20mila le persone sbarcate nel nostro Paese, contro le 6mila dello scorso anno.
Quest’ultimo numero è stato raggiunto nei primi 20 giorni del solo mese di marzo (furono 1.300 in tutto il mese nel 2022). Nelle provenienze sono compresi tutti i Paesi segnati da gravi problemi di povertà complicati da situazioni di guerra.
Qualcosa sembra essere cambiato, da parte italiana, nei soccorsi in mare: sembra chiara la volontà di non permettere che si ripeta una tragedia come quella di Cutro; non è dato sapere se per un ritorno di sensibilità o per timore di una perdita di consensi. Mancano, però, proposte concrete che possano portare a cambi di rotta significativi. Si vorrebbe riattivare qualcosa di simile all’operazione Sophia, con navi militari di Paesi europei poste a controllare i viaggi dei migranti, allo scopo di scoraggiarli, e ad intervenire in eventuali emergenze.
Da parte dell’Italia si vorrebbe un intervento economico a sostegno della Tunisia, al momento individuata come principale luogo di partenza dei barconi. In Tunisia si è recato in questi giorni il commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, per cercare di capire cosa può essere fatto per stabilizzare il Paese dal punto di vista politico e valutare la possibilità di concedere sostegni finanziari che favoriscano tale percorso. Gentiloni ha comunque precisato che, se è vero che c’è bisogno di “una Tunisia stabile e sollevata dai problemi economici”, è altrettanto vero che non può essere messa in secondo piano la necessità di ottenere “il rispetto dei diritti umani e dei valori democratici condivisi”.
Ancora più ingarbugliata appare la situazione della Libia, i cui porti sono considerati “non sicuri” per i rimpatri dei migranti. Per non parlare della situazione politica, definita eufemisticamente “instabile”.
Le navi ong continuano a denunciare attacchi portati dalle motovedette libiche mentre sono in corso recuperi di naufraghi e finora appare ancora lontano l’obiettivo più volte dichiarato dalla Ue di voler aiutare i libici “a migliorare le operazioni di ricerca e soccorso e salvare vite umane”. Intanto, i migranti continuano a rischiare la vita e a morire, tra quella che è difficile da definire se non “indifferenza” dei più.
Per quanto riguarda il nostro Paese, poi, continuano ad essere molto difficili le condizioni del centro di accoglienza sull’isola di Lampedusa, dove è complicato anche solo tenere il conto preciso delle centinaia di persone in arrivo ogni giorno. Emma Conti, operatrice di Mediterranean hope, programma migranti e rifugiati della federazione delle Chiese evangeliche in Italia, riferisce al Sir che sui moli ci sono molte donne e bambini, costretti a lunghe attese per poter essere trasferiti nel centro di accoglienza, dopo aver atteso a lungo sulle navi prima di ottenere il permesso di sbarcare. Manca il cibo, manca l’acqua. Spesso le persone non possono utilizzare i bagni perché non sono funzionanti. Molti sono i sopravvissuti a naufragi. L’hotspot, progettato per 390 persone, arriva a contenere più di duemila migranti. Di fatto, il ritmo dei trasferimenti non è sufficiente a garantire spazi più umani. È difficile anche avere un’idea precisa della situazione all’interno della struttura perché essa risulta chiusa alla società civile.
Antonio Ricci