Domenica 25 settembre – XXVI del tempo ordinario
(Am 6,1.4-7 – 1Tm 6,11-16 – Lc 16,19-31)
Solo Lazzaro può farci risorgere. Solo Lazzaro può farci ri-nascere. E Gesù lo pone sulla porta, unico spazio minimo di possibilità. Unico spazio a rimanere faticosamente aperto. Da quella feritoia Lazzaro grida la sua fame. E il ricco potrebbe vederlo. E riconoscerlo. Almeno sentirlo. A salvarci non saranno i nostri discorsi sui “poveri”, sui “migranti”, sulla “giustizia”, a salvarci sarà la nostra capacità di riconoscere un nome. Anche uno solo. Le categorie servono solo a creare paura o alibi. A salvarci sarà un gesto molto piccolo, uno di quelli che apparentemente non cambia il mondo, sarà sollevare lo sguardo e vedere un desiderio che bussa alla porta. Un uomo solo, un volto solo, un nome solo. Non devo salvare tutti, devo dare nome a chi bussa alla mia storia. Non posso farmi carico dei poveri tutti ma sono chiamato a rispondere a quel volto, a quella storia, a quel profilo di uomo. Spesso siamo professionisti nell’amare “le povertà” che non vediamo ma non sappiamo ascoltare il fratello che vive accanto a noi, che prega nel nostro banco, che partecipa alla vita della nostra parrocchia. È eroico schierarsi a favore dei migranti e battersi per la giustizia ma io ringrazio ancora più profondamente gli uomini e le donne che amano anche le persone che formano le nostre comunità. Persone che amano nonostante le nostre meschinità, le nostre piccolezze, le nostre incongruenze, i nostri tradimenti. Ringrazio chi continua ad amare i volti che vede, volti che non ha scelto, volti che vorrebbe diversi. Ringrazio chi continua ad amare nella misericordia e chiama Lazzaro per nome.
Lazzaro ci può salvare perché è l’uomo capace di forzare l’abisso, perché è l’unica voce capace di venire a donarci quello che nemmeno lui ha. È questo il paradosso della povertà! Lazzaro ci dona un’Assenza, un bisogno: il bisogno di desiderare. Uno psicologo ha scritto “Amare è dare all’altro quello che non si ha”. Credo che Lazzaro sia l’emblema di questo liberante sguardo sul mondo. L’unico gesto che può salvarci è alzare lo sguardo e guardare il volto che è oltre la porta e amarlo quel nome perché ci permette di accorgerci che l’unica cosa di cui abbiamo bisogno è di tornare a desiderare di essere riconosciuti dagli occhi di un fratello. È il bisogno primario di ogni bambino, è l’architrave di ogni intervento educativo. Avere qualcuno che ci ama per nome. E sentire che non possiamo nascere se non interiorizziamo quella fame di incontro.
don Alessandro Deho’