Stati generali della natalità per un Paese che non si rassegna al concreto rischio di estinzione

“Si può fare”. Gli Stati generali della natalità che si sono tenuti il 12 e 13 maggio scorsi

foto SIR/Marco Calvarese

Si è svolta a Roma, nell’Auditorium della Conciliazione, la seconda edizione degli Stati generali della natalità, una iniziativa promossa dalla Fondazione per la natalità per sottolineare un problema che rischia di travolgere il nostro Paese. I numeri e la tendenza che essi indicano sono stati più volte diffusi e lo studio più recente pubblicato da Istat ufficializza un dato disastroso: nel 2021 in Italia sono nati meno di 400mila bambini, il numero più basso dal dopoguerra. Una cifra che, proiettata nel tempo, se niente cambierà, porta a calcolare che nel 2050 i nati potrebbero essere meno di 300mila; ben lontani, quindi, dal livello minimo necessario per garantire il ricambio generazionale. Sempre secondo Istat, i 60 milioni di abitanti attuali che l’Italia conta potrebbero scendere a 40 milioni a fine secolo, addirittura a meno di 30 se le nascite dovessero rimanere attorno alle 400mila unità.
Come conseguenza, soltanto il 52% della popolazione sarebbe in età da lavoro, considerando il fatto che il 16% avrebbe meno di 20 anni ed il 32% sarebbe già in pensione. È in questo contesto di dati e di previsioni che è nata l’idea di una mobilitazione “generale” per affrontare un problema che, periodicamente, viene portato fin sulle prime pagine dei giornali per poi essere riposto negli scaffali delle “cose indispensabili per il Paese” mai realizzate.
Anche alla kermesse di quest’anno erano invitati personaggi di rilievo appartenenti a enti statali, al mondo finanziario e delle imprese, studiosi dei vari settori inerenti al tema in discussione e politici. Tutti si sono dichiarati ancora una volta concordi sulla necessità di trovare una soluzione, resta da vedere se dalle parole si sarà davvero capaci di passare ai fatti. Soluzioni che non sono di certo semplici da trovare perché appaiono superate le letture ideologiche del problema. Non si tratta più di portare qualche aggiustamento, sia pure di rilevo come quello legato all’assegno unico. C’è bisogno di un disegno complessivo che porti alla ripresa dell’idea di formare una coppia e una famiglia.
Ad essere in crisi, infatti, non sono più solamente i matrimoni religiosi, ora ridotti a meno della metà di quelli che si celebrano, a loro volta più che dimezzati negli ultimi 60 anni (erano 420mila, sono scesi a 180mila, passando da 8 ogni mille abitanti a 3,1). Sono in calo anche le convivenze e, cosa arcinota, ci si sposa o ci si mette assieme in età sempre più avanzata. Si può, quindi, facilmente capire come ci sia bisogno di qualcosa di decisamente più incisivo di singoli provvedimenti.

foto SIR/Marco Calvarese

Per questo, da molte parti, si è chiesto che il problema venga portato al centro di una delle azioni legate al Pnrr, investendo cifre consistenti sul tentativo di dare una scossa in senso positivo al fenomeno. C’è bisogno di una revisione totale del modo in cui i giovani si affacciano alla vita. Si deve agire in modo innovativo sul sistema scolastico, rivedere le modalità di accesso al mondo del lavoro, accorciando i tempi e dando fiducia e certezze sulla possibilità di avere un reddito stabile, che permetta a chi vuol “metter su famiglia” di poterlo fare. A fianco di questi ed altri provvedimenti che vadano in tal senso ci vuole anche un cambiamento di mentalità che porti a riscoprire l’importanza e la bellezza della famiglia e tolga i dubbi e i timori riguardo alla procreazione. Potranno esserci percorsi diversi per i credenti e i non credenti ma tutti, alla fine, dovrebbero giungere a riconoscere l’importanza di certe scelte per mantenere viva e creativa la comunità civile.
Tra i momenti più significativi degli Stati generali di quest’anno va collocata la tavola rotonda che ha visto impegnati i leader politici più importanti del momento. Pur nei naturali distinguo derivanti dalle diverse ideologie di riferimento, tutti hanno ammesso che non c’è più tempo per le contrapposizioni politiche sul tema della famiglia. È, invece, il tempo di un Patto per la natalità. Da Letta è giunta una proposta, raccolta da tutti, di revisione dell’Isee in riferimento al riconoscimento dell’assegno unico. Altro passaggio non più rinviabile è quello di abbassare l’età in cui i figli “escono di casa”. In accordo sull’argomento, la vice ministra Castelli (M5s) ha sottolineato la necessità di una revisione della spesa pubblica in materia perché i cambiamenti di parametri nell’Isee porterebbero ad aumenti degli importi totali dell’assegno unico.
Di un “piano imponente sulla maternità” ha parlato anche Giorgia Meloni, che ha indicato la necessità di stabilire una priorità strategica nel Pnrr, idea sostenuta anche da Licia Ronzulli (Fi). Altre proposte sono giunte dagli interventi degli altri politici presenti al confronto. Come si diceva sopra, nel corso degli anni non sono mancate le dichiarazioni più rassicuranti sulla necessità di dare risposte concrete ad un problema così importante per il futuro del Paese; la speranza è che una volta per tutte si riesca davvero ad avviare un percorso virtuoso che porti all’inversione di rotta auspicata.

Antonio Ricci