Il dramma della guerra: già milioni gli sfollati in Ucraina e i rifugiati verso i Paesi europei
C’è una sinistra corrispondenza tra la pandemia di Covid-19 e la guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina. Prima che le due catastrofi si manifestassero in tutta la loro gravità, nessuno (neanche i pochi che oggi provano a dire: “Io lo sapevo”) poteva prevedere che tutto ciò potesse accadere. Non che la sanità mondiale fosse messa in ginocchio da un virus, all’apparenza, invincibile. Non che un capo di governo europeo potesse pensare di dare il via ad una guerra combattuta nel cuore del continente. Al massimo si poteva accettare che una delle tante emergenze sanitarie si manifestasse in Paesi e continenti dove l’accesso alle cure e alla prevenzione delle malattie è ancora un fatto lontano dalla realtà; che una delle tante guerre (in questi anni ce ne sono state fin troppe, ignorate o quasi dal Primo mondo) potesse scoppiare uno di quei Paesi instabili, ben distanti anche solo da una parvenza di democrazia.
E invece… invece anche gli Stati più avanzati si sono ritrovati con le spalle al muro a causa del Coronavirus e la Russia ha lanciato il guanto di sfida all’Ucraina come ammonimento a tutta l’Europa e al sistema politico-economico su cui si basa l’Occidente. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Su questa guerra che ci riguarda da vicino abbiamo una sovrabbondanza di informazioni: tutti i media, negli ultimi dieci giorni hanno ridisegnato i palinsesti per seguire l’evoluzione del conflitto. Servizi giornalistici e immagini ci giungono in continuazione per mostrarci le conseguenze dei bombardamenti, per informarci sul numero e sull’età delle vittime. Abbiamo avuto, così, la conferma di quello che già sapevamo: a fare le spese di una guerra come quella avviata da Putin sono soprattutto i civili: bambini, donne, anziani. Qualcuno ha calcolato una percentuale che varia dall’80 al 90%!
A fianco delle vittime troviamo un’altra categoria sulla quale in questi anni si è fatta tanta demagogia: i profughi. Non persone che per fuggire dalle guerre e raggiungere un “porto sicuro” impiegano mesi o anni ma cittadini ucraini che, pur tra le tante difficoltà imposte dalla situazione, possono raggiungere i confini di Paesi disposti ad ospitarli in poche ore. Secondo Carlotta Sami, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unchr), sarebbero già attorno a 1.800.000 i profughi ucraini sparsi per l’Europa, in gran parte fuggiti nella vicina Polonia: “la crisi dei rifugiati più veloce dal dopoguerra”.
E ciò senza che siano stati attivati dei veri e propri corridoi umanitari. Proprio su questo tipo di provvedimenti (che dovrebbero derivare da accordi tra Russia e Ucraina) c’è stata quella che il governo di Kiev ha definito una “proposta immorale”.
Nella giornata di lunedì, la Russia avrebbe concesso una tregua momentanea per l’apertura di sei corridoi umanitari: l’immoralità sta nel fatto che tutti e sei avrebbero indirizzato i profughi verso la stessa Russia o la Bielorussia, schierata al fianco di Mosca. Più difficile è stimare gli sfollati in territorio ucraino “perché – dichiara Carlotta Sami al Sir – la situazione della sicurezza non lo consente” ma potrebbero essere milioni di persone.
“La situazione è assolutamente drammatica, l’unica cosa che serve è uno stop alla guerra” L’organismo dell’Onu – tramite ponti aerei o convogli di camion – sta inviando ogni genere di conforto sia all’interno dell’Ucraina che nei paesi limitrofi che ospitano le persone in fuga dal Paese: coperte, stuoie, tende, kit per l’inverno, kit per i bambini e kit di emergenza. Sono già migliaia le persone giunte in Italia e ci vuole poco sforzo per immaginare che il flusso continuerà ed aumenterà nelle prossime settimane. In tutta Italia, anche in Lunigiana, sono numerose le organizzazioni (tra queste anche le Caritas diocesane) che già si sono attivate per la raccolta di fondi o di generi di prima necessità da inviare ai profughi o per l’accoglienza di chi arriva ai nostri confini. Drammatiche le testimonianze di chi resta, così come quelle riferite dai profughi. L’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, riferisce di bombardamenti su Kharkiv, di combattimenti per strada a Sumy, di persone colpite da bombe o razzi a Chernihiv. Le città più grandi sono assediate dai russi, che impediscono agli abitanti di mettersi in salvo e ostacolano la consegna dei viveri.
Disperato il suo appello alla comunità internazionale: “Si facciano i corridoi umanitari affinché la popolazione civile possa spostarsi nei luoghi sicuri; si lascino passare i convogli umanitari che portino a quelle persone i viveri, il calore, la solidarietà umana”. Ad attraversare le frontiere sono soprattutto donne e bambini perché gli uomini validi restano a combattere in Ucraina. Nessuna di quelle mamme pensa di rimanere in Polonia a lungo; tutte sperano di poter quanto prima tornare nelle loro case, anche se sono state distrutte dalle bombe. La sfida più impegnativa, ora, è quella di far sì che i profughi possano diventare autosufficienti; perché ciò avvenga c’è bisogno di dar lavoro agli adulti, ai bambini la possibilità di andare a scuola o negli asili nido.
a.r.