

Anche quest’anno gli abitanti di Jera, frazione montana bagnonese, ove scorrono le limpide acque del torrente Bagnone, hanno festeggiato il patrono San Biagio, il 3 febbraio scorso.
Medico e vescovo di Sebaste, in Armenia, il suo martirio avvenne durante la persecuzione dei cristiani, attorno al 316. Nella sua città natale, dove svolse il ministero vescovile, operò numerosi miracoli. Quello per cui è conosciuto maggiormente riguarda la guarigione di un giovane, liberato da una lisca di pesce conficcata nella trachea. S. Biagio fa parte dei Santi ausiliatori, invocati per la guarigione di mali particolari come, ad esempio, la protezione della gola.
In assenza del parroco don Angelo Boattin, ha celebrato la liturgia della Parola il diacono Edamo. Alle ore 11, la chiesa parrocchiale si è riempita di canti tradizionali, fra gli addobbi floreali preparati con cura. Importante, ha detto don Edamo, trovare uno spazio quotidiano in cui poter stare un po’ soli con Gesù con uno stile colloquiale e familiare, come facevano gli apostoli ed i Santi che celebriamo, i quali vivevano la notorietà in modo molto diverso dai canoni mondani. Oggi occorre far parlare di sé suscitando scalpore, spesso deplorevole, e spettacolo. La notorietà di un Santo invece non cerca colpi di scena, anzi vive nel silenzio, in umiltà, compiendo il volere di Dio, con preghiere e sacrifici. Solo il Signore offre, ai servi fedeli, la notorietà che non tramonta perché il loro nome è scritto nel libro della vita eterna.
A seguire benedizione delle candele, senza quella consueta della gola causa ancora pandemia. L’appuntamento liturgico, un tempo, era largamente vissuto anche dalla gente delle frazioni limitrofe. Nonostante il freddo, e sovente, le abbondanti nevicate si saliva fin lassù, fra le antiche case di pietra, proprio per ricevere la benedizione della gola che il sacerdote faceva con due candele incrociate. Rientravano al paesello i tanti emigranti, soprattutto, ”barsan”, sparsi numerosi nel Nord dell’Italia. Nel pomeriggio c’era il canto dei Vespri e la processione. Terminati i sacri riti, a conclusione della giornata festosa, mai mancava il ballo al suono delle fisarmoniche. Vere e proprie orchestre casarecce. Non c’era il coronavirus, al contrario tanta voglia di stare insieme, di ritrovare amici e conoscenti, di professare la fede dei padri. Guardando al futuro con fiducia e speranza…
(i.f.)